15/11/1553: (ri)comincia la storia della Chimera di Arezzo

Era il 15 novembre del 1553 quando, per caso, durante i lavori per la realizzazione di un nuovo bastione nelle mura di Arezzo, “… fu scoperto un insigne monumento etrusco. Si trattava di un leone di bronzo, di grandezza naturale, eseguito in modo elegante e ad arte, feroce nell’aspetto, minaccioso per la ferita che aveva nella zampa sinistra, che aveva le fauci aperte e i peli della giubba eretti e portava sul dorso… la testa di un capro sgozzato… Il nostro Principe [il granduca Cosimo I] comandò che quest’opera così eccellente fosse portata a Firenze…” (così la deliberazione del Comune di Arezzo relativa alla scoperta).

IMG_20131028_163848La scultura, databile al IV sec. a.C., rappresenta la Chimera, il mostro a tre teste (di leone, capra e serpente) generato da Echidna (per metà donna e per metà serpente) e Tifone (mostro capace di incutere timore persino a Zeus), genitori anche della Sfinge, di Cerbero e dell’Idra di Lerna. Secondo la mitologia Chimera dimorava in Licia, dove distruggeva ogni cosa con le fiamme che uscivano dalle sue tre bocche; lì fu stanata e uccisa dall’eroe Bellerofonte, aiutato dal cavallo alato Pegaso. Il mito, così concepito in Grecia, fu conosciuto e rielaborato anche in Etruria, da dove provengono, oltre alla monumentale scultura, diverse rappresentazioni del mostro, tra cui anche un bronzo di piccole dimensioni esposto oggi nelle sale del Museo.

La Chimera di Arezzo, grande bronzo di IV sec. a.C., ed un bronzetto di ??? che raffigura lo stesso soggetto
La Chimera di Arezzo ed il bronzetto che raffigura lo stesso soggetto

Al momento della scoperta il bronzo non si presentava integro, ma, come le fonti e le incisioni dell’epoca attestano, era privo della coda-serpente, di cui fu rinvenuto soltanto un frammento mai restaurato; soltanto nella seconda metà del Settecento fu eseguita l’integrazione, per opera dello scultore Francesco Carradori o del suo maestro Innocenzo Spinazzi (erronea la tradizione che la vorrebbe il restauro eseguito da Benvenuto Cellini, come indicato dal Milani stesso nella guida del museo). La coda fu però reinterpretata, secondo criteri completamente diversi da quelli che guidano oggi le operazioni di restauro, con la testa del serpente che morde il corno della capra mentre nell’originale, probabilmente, il serpente era rivolto in avanti in attacco.

Incisione
Incisione di T. Verkruys  per il “De Etruria Regali” di Th. Dempster, pubblicato nel 1723-1724

Il bronzo, rinvenuto all’interno di una stipe votiva assieme ad altri materiali, costituiva in origine un’offerta al dio Tinia (la divinità etrusca corrispondente a Zeus e Giove) come si ricava dall’iscrizione sulla zampa anteriore destra; presumibilmente faceva parte di un gruppo scultoreo in cui era rappresentato anche Bellerofonte, posto di fronte all’animale.

Il fortuito rinvenimento offrì da subito una straordinaria opportunità di propaganda a Cosimo I, che si fregiava del nome di Granduca d’Etruria: il mostro vinto era la perfetta allegoria di tutte le forze ostili che i Medici avevano dovuto e saputo domare per costruire il proprio regno, e per questo la statua fu insignita subito della sede più prestigiosa: Palazzo Vecchio, centro del potere della Signoria e residenza dei Medici. Da lì fu spostata solamente nel 1718, quando per ordine di Cosimo III trovò una nuova collocazione nella Galleria degli Uffizi. Oltre un secolo dopo, nel 1870, al momento della costituzione del Regio Museo Archeologico di Firenze, il direttore Luigi Adriano Milani volle trasferire la statua al primo piano del Palazzo della Crocetta, nella galleria dei bronzi; attualmente la scultura è collocata ancora al primo piano del Museo e condivide il posto d’onore con l’Arringatore e la testa in bronzo da Fiesole, nella sala XV.

In rosso la collocazione della Chimera nel 1912, nella Sala delle Statue e degli Idoli Etruschi, in verde l'attuale
In rosso l’originaria collocazione della Chimera nella “Sala delle Statue e degli Idoli Etruschi”, in verde l’attuale (dalla guida del museo del Milani, del 1912)

Ancora oggi la Chimera, oltre che essere una delle attrattive principali del museo, ne costituisce il logo ed è forse il pezzo che più affascina e diverte i nostri piccoli visitatori. La celebre scultura, inoltre, vanta un’indiscutibile primato: è il n. 1 dell’inventario delle collezioni del Museo!

Dettaglio del n. di inventariosulla zampa posteriore della Chimera
Dettaglio del n. di inventario sulla zampa posteriore della Chimera

10 pensieri su “15/11/1553: (ri)comincia la storia della Chimera di Arezzo

  1. mi piacerebbe sapere la sua provenienza,durante l’ultimo restauro,mi pare che abbiano trovato dei pollini provenienti dalla persia?

    "Mi piace"

    • Buonasera Francesca,
      secondo gli studi più recenti, la Chimera sarebbe il frutto di un lavoro di équipe di artisti greci ed etruschi che probabilmente lavorarono insieme nell’area di Praeneste (attuale Lazio): agli artisti greci era riservata l’esecuzione artistica del modello, che risente di influenze dell’arte greca del V secolo a.C., mentre della fusione in bronzo si occuparono gli artigiani etruschi, dei quali era nota già nell’antichità l’abilità in questo campo. Per saperne di più, comunque, le segnaliamo il volumetto “La Chimera di Arezzo”, a cura di Mario Iozzo per i tipi di Polistampa pubblicato nel 2009 in occasione del prestito della Chimera al Paul Getty Museum di Los Angeles.

      "Mi piace"

  2. […] Winckelmann soggiornò a Firenze tra il 1758 e il 1759. Qui ebbe modo di studiare l’arte degli Etruschi, tassello importante per la redazione della sua “Storia dell’Arte presso gli Antichi” nella quale si proponeva di tracciare una storia dell’arte antica a partire dagli Egizi, dai popoli del Vicino Oriente, proseguendo con gli Etruschi e altri popoli italici, per arrivare ai Greci e infine ai Romani. In questo suo mastodontico progetto, dunque, l’arte etrusca aveva un ruolo importante. Per perseguire il suo scopo di studio, durante il soggiorno a Firenze progettò dei viaggi (che poi non compirà) a Volterra, Chiusi, Cortona, Arezzo. Dell’arte etrusca Winckelmann dà un giudizio positivo, legandone il suo sviluppo alle buone condizioni climatiche, geografiche e anche politiche che avrebbero a suo dire influito positivamente sullo sviluppo delle arti: in realtà si tratta di considerazioni che egli trasse dalla lettura delle fonti antiche; la verità è che alla metà del Settecento dell’arte etrusca si sapeva molto poco: lo stesso Winckelmann lamentava che si conosceva pochissimo la statuaria etrusca di grandi dimensioni. Proprio a Firenze, però, lo studioso poté vedere dal vivo due straordinari esempi della statuaria in bronzo etrusca: l’Arringatore e la Chimera di Arezzo. […]

    "Mi piace"

  3. […] La Chimera fu scoperta il lontano 15 novembre del 1553 ad Arezzo. All’epoca sulla Toscana governava Cosimo I de’Medici il quale, oltre a guerreggiare qua e là, a sfornare figli con Eleonora di Toledo e ad arredare Palazzo Vecchio, aveva promosso tutta una propaganda a favore delle Etruscherie, un po’ per mettersi in competizione con la Roma papale, dal cui sottosuolo all’epoca apparivano quotidianamente meravigliose opere d’arte e antichità romane, e un po’ per giustificare il proprio potere sulla Toscana, che vantava un’origine etrusca, ben più antica di Roma. La scoperta della Chimera, durante scavi lungo le mura di Arezzo, presso Porta San Laurentino, sembrò proprio un segno divino: una pregevolissima opera etrusca in bronzo, di grandi dimensioni, pressoché intatta, veniva in luce dal nulla, inaspettatamente, come una visione. […]

    "Mi piace"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.