Il graffione: uno strumento particolare

Con il termine graffione si definiscono alcuni strumenti di grandi dimensioni (fino a oltre 40 cm di diametro), perlopiù in bronzo e databili tra il V e il IV secolo a. C. 

Graffione in bronzo dalla Collezione Passerini, ora in mostra al Museo Archeologico Nazionale di Firenze

Di questo strano utensile conosciamo due versioni: una con punte arrotondate attorno ad un anello centrale e l’altra con rebbi perpendicolari rispetto a una barra trasversale. Ripercorrendone la storia degli studi, potremmo trovarne molti pubblicati come Pempobolon, Kreagra, Harpax, Harpago, nomi che si riferiscono a uncini, a forchettoni per gestire la carne sul fuoco o nel calderone, o addirittura ad armi per l’assedio, sia marittimo che terrestre. Tra le interpretazioni più curiose ricordiamo quella di strumento per ripescare i vasi caduti in fondo ai pozzi o perfino di oggetto appositamente creato per la tortura dei cristiani, come documentato su una lunetta del Museo Chiaramonti in Vaticano dove, ai piedi della croce, compaiono due graffioni etruschi. 

Lo stesso nome di graffione è stato usato spesso dagli studiosi per definire anche un gruppo di “forchette” per la cottura della carne (da chiamare piuttosto kreagrai), che sono in realtà molto diverse dal nostro esemplare, perché non hanno l’uncino al centro, sono molto più piccole, hanno un numero maggiore di rebbi ed erano utilizzate durante i banchetti.

Particolare dell’immanicatura con testa di serpente

Oggi l’opinione più accreditata è che i nostri graffioni fossero legati all’illuminazione artificiale, come è possibile capire osservando una scena graffita su uno specchio di bronzo da Civita Castellana (l’antica Falerii), oggi conservato al Metropolitan Museum di New York.

Specchio in bronzo con Admeto e Alcesti, da Civita Castellana, seconda metà del IV sec. a. C., Metropolitan Museum, New York

Su questo bellissimo oggetto, databile alla seconda metà del IV secolo a.C., accanto ai due sposi, Admeto e Alcesti che si abbracciano, vediamo un personaggio, forse Hymenaios, divinità tipica del corteo nuziale, con un graffione in mano; possiamo notare che intorno alle punte dell’oggetto è attorcigliata una corda raffigurata nell’atto di prendere fuoco, illuminando così la strada al dio che si allontana. Questa particolare tecnica di illuminazione, che sfrutta corde o filamenti di legno intrecciati e imbevuti di resine, grasso animale o sostanze bituminose, è confermata dalle fonti antiche (ad esempio dai testi dei grammatici Servio e Elio Donato). Questo è un bell’esempio di come l’integrazione tra i testi antichi e le testimonianze archeologiche possa svelare qualche mistero sulla vita quotidiana nell’antichità.

Per ulteriori approfondimenti vi invitiamo a consultare il catalogo della mostra “Tesori dalle terre d’Etruria. La collezione dei conti Passerini, Patrizi di Firenze e Cortona” a cura di M. Iozzo e M. Luberto. 

Un pensiero su “Il graffione: uno strumento particolare

  1. Buongiorno a Voi!
    Bisogna immaginare queste”torce”illuminate; con motivi e disegni incorporati, che bruciando donavano ombre e suggestioni. Così il graffione raggiato, l’ho subito collegato con Usil, dio del Sole, per l’effetto luminoso, ardente e circolare che il materiale resinoso e cordame di varia natura attorcigliato con cura, su un supporto “nobile” come il bronzo, potevano rendere. Anche per il numero dei 7 raggi, presente nel nimbo di una placca di Usil ; (credo al Museo di Villa Giulia) . Come persiste in talune tradizioni germaniche ancora vive, collegate al Solstizio o a cicli stagionali, vengono portati il sole e la luna, in processione. La mia domanda:
    nessuna lettera/grafema lungo le aste e manici dei graffioni?
    Grazie!

    "Mi piace"

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