Più o meno l’idea di chi, tremilacinquecento anni fa, depose questo carro di legno -smontato- nella tomba del fratello di latte del faraone Amenofi II (1425-1397 a.C.) doveva essere quella: il carro avrebbe continuato a viaggiare per l’eternità, nel regno di Osiride, rincorrendo gli animali da cacciare con la guida esperta del suo proprietario Kenamun. E il carro in effetti ha viaggiato a lungo, attraverso secoli e millenni, ha solcato il Mediterraneo sulle navi che trasportavano il bottino della spedizione ottocentesca di Champollion e Rosellini e ancora oggi lo possiamo ammirare, perfettamente conservato nonostante la fragilità dei materiali che lo compongono, nelle sale del Museo Egizio di Firenze.
Il clima caldo e secco dell’Egitto ha infatti consentito la conservazione di materiali organici quali legno, avorio, e persino la corteccia di betulla che era stata utilizzata per i rivestimenti di tutti i giunti; solo le cinghie in cuoio che vediamo oggi sul pianale e sul timone sono un restauro ottocentesco, basato comunque sui frammenti di cuoio rinvenuti insieme al carro.

Il carro, realmente utilizzato dal proprietario, come dimostra l’usura di alcune sue parti, è di produzione egiziana e non straniera, come si ritenne al momento del rinvenimento, ed è confrontabile con i carri di Tutankhamon conservati al museo del Cairo. La sua struttura dimostra una progettazione estremamente avanzata, che consentisse la massima velocità, resistenza e contemporaneamente il massimo comfort di guida. Il pianale poggiava su una rete di corregge di cuoio intrecciate in modo da ammortizzare la corsa sullo sterrato; le ruote, con soltanto quattro raggi, sono leggerissime e senza cerchioni (se li avevano, probabilmente erano anch’essi di cuoio), i legni che compongono le varie parti sono diversi a seconda delle loro specifiche qualità e alcuni addirittura fatti venire appositamente da fuori l’Egitto.

Su questo mezzo potevano salire fino a due persone, in piedi (l’auriga e il proprietario che impugnava l’arco, oggi appoggiato sul pianale), e doveva essere trainato da una coppia di cavalli di piccola taglia, alti al massimo 120 cm al garrese: gli antenati dei nostri pony, insomma.
Un confronto con un mezzodel tutto analogo, sebbene molto più tardo, si trova nel c.d. “rilievo dei mestieri”, conservato poco distante dal carro sempre nel Museo Egizio di Firenze; nel rilievo sono raffigurati diversi artigiani al lavoro, e nell’angolo in basso a destra si vede proprio un artigiano intento nella rifinitura di un carro a due ruote!

Kenamun, il cui sarcofago è stato recentemente identificato nei depositi del Museo di Firenze, ha una storia particolare; la sua mummia, danneggiata dall’acqua nel trasporto dall’Egitto a Livorno, fu infatti lasciata a Pisa, dove fu sbendata e dove è stato ritrovato lo scheletro ripulito, conservato nel museo di Calci. Kenamun, allattato dalla stessa balia che aveva nutrito Amenofi II, ricopriva la carica di Gran Maggiordomo del Re ed era un personaggio molto influente a corte, anche se poi cadde probabilmente in disgrazia, come dimostra l’avvenuta distruzione nella sua tomba del suo nome e della sua figura. Le iscrizioni sulla tomba tuttora ricordano “il cocchio che Sua Maestà gli diede come segno del suo favore” e che egli volle con sé nella vita eterna, proprio quello che possiamo ammirare ancora oggi nel nostro museo.

E se volete sentire il racconto dalla voce dello stesso Kenamun… questo è il link al video realizzato dall’Università di Pisa in occasione della mostra a lui dedicata nel 2014, “L’undicesima mummia”. https://www.youtube.com/watch?v=Iu5JpFndpBY