Dal MAF a Bologna, i reperti in viaggio nelle terre dei Rasna!

Da circa un mese, e fino al 29 novembre, è nuovamente possibille visitare la mostra allestita presso il Museo Civico Archeologico di Bologna “Viaggio nelle terre dei Rasna“, nella quale sono esposti, assieme a numerosi capolavori etruschi, oltre cento reperti provenienti dal MAF. La cultura dei Rasna, nome con cui gli Etruschi identificavano se stessi, è presentata attraverso un viaggio in tutti i territori che la hanno conosciuta, dal centro Italia fino alle estreme propaggini campane e padane.

Tra i pezzi prestati dal MAF abbiamo scelto di approfondirne alcuni, per invogliarvi ad approfondire direttamente alla mostra.

I primi sono due hydriai, ovvero vasi per contenere acqua, che non sono di produzione etrusca ma che provengono da una ricchissima tomba di Populonia. I due vasi, a figure rosse con sovradipinture in oro e datati al 420-410 a.C., sono stati realizzati ad Atene e sono identificati come opere del pittore di Meidias: su di essi sono dipinte figure legate alla sfera di Afrodite e dei suoi due grandi amori, Faone e Adone. Assieme agli altri elementi del corredo, i due vasi fanno identificare il proprietario della tomba con una donna etrusca di alto rango, forse una sacerdotessa; le hydriai potevano aver costituito un dono di nozze legato al bagno purifucatore della sposa prima della cerimonia, oppure essere i contenitori lustrali usati in alcuni rituali di offerta alle divinità. Certamente realizzate in coppia dallo stesso ceramista, e dipinte dallo stesso pittore, furono esportate verosimilmente insieme. Una curiosità: come speso accade per i vasi greci, anche in questo caso conosciamo il nome del ceramista, Meidias, ma non del pittore (identificato come pittore “di Meidias”): questo perché per i greci all’interno della bottega era più importante chi plasmava il vaso rispetto a chi lo dipingeva.

In seconda battuta esaminiamo un reperto che nell’esposizione permanente del MAF occupa un posto d’onore, e condivide la sala con la Chimera e l’Arringatore. Si tratta della testa bronzea di giovinetto, di provenienza incerta (forse Fiesole?). La testa, di dimensioni al vero, apparteneva a una statua funeraria o forse votiva; i grandi occhi sono privi di iride, che doveva essere inserita, come spesso nella scultura beonzea, realizzata in altro materiale; le sopracciglia sono rese con il consueto motivo a treccia, i capelli corti e a spesse ciocche formano una frangia sulla fronte. Per quanto non si possa affermare di trovarsi di fronte ad un vero e proprio ritratto fisiognomico, i tratti delicati e in parte idealizzati rendono con grande efficacia  l’espressione dolce e distaccata di questo adolescente. La datazione è al 375-350 a.C.

Ultimo, ma non per importanza, un reperto che normalmente non si trova nel percorso espositivo nel MAF: l’urna cineraria proveniente da Città della Pieve, loc. Bottarone. Sul coperchio dell’urna, caratterizzata ancora dalle vivaci tracce della policromia originaria, si trova rappresentata la coppia coniugale: il defunto, nella consueta posizione del banchetto, semisdraiato sulla kline, e la moglie, accomodata accanto a lui ma seduta, che in questo periodo (siamo agli inizi del IV sec. a.C.) sostituisce le figure alate di demoni o lase che nella scultura funeraria chiusina di epoca classica accompagnavano i defunti nel loro ultimo, eterno banchetto. Sul collo della donna sono visibili due fori, che servivano a bloccare la collana che in origine la scultura indossava, e che abbiamo la fortuna di conservare al museo.

Se queste brevi istantanee vi hanno incuriosito… non vi resta che continuare il viaggio alla mostra: i Rasna vi aspettano!

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