La data che oggi ricorre, il 12 ottobre, è di quelle che si imparano fin da bambini, una data che segna l’inizio di una nuova epoca storica, l’incontro e la vicendevole scoperta di due civiltà: la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo.

In realtà l’abile navigatore genovese stava cercando di arrivare nell’Estremo Oriente passando da Ovest, giocando sul fatto che la terra era rotonda. Intuizione geniale, se non fosse che incappò in un continente totalmente sconosciuto che si frapponeva tra l’Oceano atlantico e l’Oriente. Lui non se ne rese mai conto, pensò davvero di essere arrivato nel Levante, ma le conseguenze dei suoi viaggi furono incredibili e diedero il via alla grande stagione delle esplorazioni geografiche. Tra i vari esploratori che gli succedettero, Amerigo Vespucci, fiorentino, per primo si rese conto di essere giunto su un nuovo continente, che da lui prese il nome di America. Un mondo nuovo era definitivamente stato scoperto, un mondo di cui si ignorava l’esistenza. Il Mondo che non c’era aspettava soltanto di essere esplorato. E in tanti partirono dall’Europa, per conoscerlo.
Ma perché parlare della scoperta dell’America? Cosa c’entra con le collezioni archeologiche di Firenze?

Un indizio è la gigantesca riproduzione di una maschera funebre peruviana in lamina d’oro che troneggia all’ingresso del museo, porta virtuale per la mostra “Il mondo che non c’era”, dedicata proprio all’arte dell’America centro-meridionale di epoca precolombiana e ospitata al Museo Archeologico Nazionale di Firenze fino al 16 marzo 2016. Il collegamento, però, può spingersi oltre: i Medici, infatti, proprio coloro che hanno iniziato a collezionare antichità dando origine al nucleo delle raccolte archeologiche cittadine, furono tra i primi anche a raccogliere stranezze e oggetti preziosi che venivano portati dal Nuovo Mondo. Gli “exotica” giunti per stupire le corti europee erano piante, animali, oggetti (primi tra tutti quelli in oro) e purtroppo persino uomini; nei gabinetti delle curiosità si raccoglievano mantelli di piume, monili, armi indigene: qualcosa arrivò anche nello Studiolo dei Medici, ed oggi è confluito nel Museo di Storia Naturale, Antropologia e Etnologia e nel Museo degli Argenti.

Tra gli oggetti giunti a Firenze è anche una piccolissima maschera in giadeite che è conservata tra le gemme del Museo Archeologico di Firenze, un fine prodotto di arte azteca. Gli Aztechi vissero nel Messico centrale tra il 1200 e il 1521 d.C.; l’ultimo loro grande sovrano, che subì la definitiva sconfitta da parte degli Spagnoli, fu Montezuma II. La testina dell’Archeologico una volta arrivata a Firenze fu montata su un ovale in rame e le furono aggiunti due rubini al posto degli occhi. Il suo aspetto attuale, così vivace, è dunque il frutto di un’integrazione, e non il suo aspetto originale.

Gli oggetti centroamericani e sudamericani appartenenti alla collezione Medici non sono giunti per caso, ma a seguito di una spedizione che il Granducato di Toscana volle e finanziò nel 1608: la cosiddetta Spedizione Thornton. Il capitano inglese Robert Thornton fu incaricato di organizzare una spedizione nel Brasile Settentrionale, che avesse come scopo quello di sviluppare il commercio di legname pregiato tra l’Amazzonia e l’Italia, creando una base coloniale toscana tra i possedimenti spagnoli e portoghesi lungo la costa atlantica brasiliana. Il viaggio di Thornton durò un anno, dopodiché nel 1609 il galeone fece rientro a Livorno, portando con sé un carico di oggetti esotici e preziosi, di animali e di indigeni. Ferdinando I, però, era morto da pochi mesi, e il suo sogno di creare un avamposto commerciale in Brasile era scomparso con lui: Cosimo II, suo successore, preferì non impiegare risorse ed energie per un’impresa così lontana e nebulosa. Finisce dunque così, con un’esplorazione lungo il fiume Orinoco e il Rio delle Amazzoni e con qualche cassa di oggetti bizzarri con i quali arricchire le collezioni di mirabilia medicee, l’incontro di Firenze con il Nuovo Mondo.
Incontro che oggi al MAF si rinnova, con la mostra “Il Mondo che non c’era”.
