Il 9 marzo chiude la mostra “Kaulonía. La città dell’Amazzone Clete“. Mancano quindi solo pochi giorni per scoprire la vita dell’antica colonia della Magna Grecia attraverso i reperti portati alla luce dagli scavi dell’Università degli Studi di Firenze. La mostra è ospitata al 2° piano del Museo Archeologico Nazionale di Firenze.
Il settore di abitato posto in località San Marco nord-est, nella parte settentrionale della città antica, ebbe una vita molto lunga come testimoniano gli oggetti esposti, databili dalla metà dell’VIII sec. a.C. al V. sec. d.C. Dopo l’arrivo degli Achei, l’etnia greca che fondò la colonia sul finire dell’VIII sec. a.C., tutta la città conobbe un periodo fiorente soprattutto durante l’età arcaica e classica, mentre si registra un momento di crisi tra il I sec. a.C. e il I d.C., seguito da una modesta “rinascita” in epoca imperiale romana.
La “casa di Clete”
L’esposizione, e il catalogo che l’accompagna, chiariscono diversi aspetti riguardanti le vicende storiche di Kaulonía, a partire dalla rilettura della versione mitica della fondazione tramandataci da Licofrone, poeta di Calcide d’Eubea vissuto nel IV sec. a.C.,secondo il quale la città sarebbe stata fondata dall’Amazzone Clete che aveva fatto naufragio sulle coste calabresi, nel sito della futura colonia, durante il viaggio verso Troia che aveva intrapreso per recarsi a recuperare il corpo della padrona Pentesilea uccisa da Achille.
Vi sono tuttavia molte altre lenti attraverso le quali è possibile osservare questa mostra.
Già al primo sguardo è evidente una particolarità nell’esposizione. L’estrema frammentarietà dei reperti, così inusuale in un museo, è la chiave per capire il mondo abituale dell’archeologo che dal frammento, attraverso il lavoro di studio e confronto, riesce a ricostruire l’aspetto e a dare un nome all’oggetto intero. I materiali provenienti dallo scavo posti accanto agli esemplari interi, patrimonio del MAF, permettono di toccare con mano la difficoltà, ma anche l’importanza di queste operazioni senza le quali non sarebbe possibile analizzare e comprendere nessun ritrovamento.
dai singoli minuti frammenti è possibile risalire alla tipologia di vaso: in alto a s. coppa dei Comasti, a d. coppa tipo Droop; in basso a s. coppa tipo lip-cup, a d. coppa tipo band-cup
Accanto a questa finestra sul mondo di un archeologo, se ne apre subito un’altra, che permette invece di immaginare la vita quotidiana di un antico cittadino di Kaulonía. I reperti in mostra sono un campione significativo di ciò che poteva trovarsi nella casa di un colono della Magna Grecia. Si tratta di oggetti che venivano usati tutti i giorni, come le pentole, i bacili per lavarsi, i pesi che tenevano in tensione i fili del telaio, oppure che erano riservati a momenti particolari, come i servizi da mensa di migliore qualità o gli accessori per i rituali che si svolgevano nell’abitazione.
antefissa a forma di testa di gorgone (fine VI secolo a.C.) in corso di scavo ed esposta ora in mostra
Dallo scorso 9 aprile e fino al 3 dicembre 2013 il secondo piano del Museo Archeologico Nazionale di Firenze ospita la mostra “Arte della Magna Grecia. La Collezione Colombo nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze”. L’esposizione, curata da Mario Iozzo, direttore della Sezione Greca, presenta per la prima volta al pubblico una significativa selezione di reperti archeologici della Collezione Colombo, formatasi in Italia meridionale fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento ed in parte acquisita dallo Stato Italiano nel 2012 grazie ad un finanziamento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale.
Grande phiale (bacino utilizzato durante le cerimonie nuziali) di produzione apula – 330-320 a.C.
La mostra affianca le sale del Museo che ospitano in modo permanente i materiali magnogreci delle antiche collezioni medicee e lorenesi, e costituisce un’occasione imperdibile per approfondire la conoscenza della produzione artistica delle colonie greche d’Occidente e del mondo indigeno ad esse prossimo fra il VI secolo a.C. ed il I secolo d.C., attraverso pezzi di notevole pregio appartenenti a classi di materiali in genere poco rappresentate al di fuori dei musei dell’Italia meridionale.
Statuetta in terracotta rappresentante la dea Afrodite fra le valve di una conchiglia
I 41 reperti esposti forniscono infatti una panoramica ampia ed esaustiva della cultura materiale sia delle città greche dell’Italia meridionale, quali Metaponto e Taranto, sia delle popolazioni della Daunia e della Peucezia, stanziate nella zona centrale e settentrionale dell’attuale Puglia.
Il nucleo principale della raccolta è costituito da vasi in ceramica decorati con la tecnica delle figure rosse di produzione lucana e apula, databili fra la fine del V ed il IV secolo a.C., ma sono rappresentate anche altre classi ceramiche insieme a terrecotte figurate e oggetti in bronzo, oro, alabastro e piombo.
Le statuette in terracotta, di cui si espone un nucleo esemplificativo, rimandano alla sfera sacra, e rappresentano divinità, come Afrodite e Artemide, oppure devote in atteggiamento seduto o stante, e sono riconducibili a culti locali legati alla devozione popolare e alla protezione della fertilità femminile.
Provengono invece con tutta probabilità da contesti funerari i vasi in ceramica: soprattutto forme legate alla preparazione e al consumo del vino durante il simposio (crateri, oinochoai), ma anche a particolari momenti rituali, come la grande phiale o il lebes gamikos, vasi utilizzati nel corso delle cerimonie nuziali. Alle nozze e più in generale al culto di Eros rimandano anche molte delle decorazioni figurate, che mostrano spesso giovani donne e giovani uomini in atto di recarsi presso il santuario del dio dell’amore recando offerte e ghirlande floreali.
Cratere a figure rosse di produzione italiota, particolare: Athena che suona l’aulos – 375-350 a.C.
In alcuni casi, i vasi in mostra illustrano scene di carattere mitologico: fra di esse spicca la rarissima rappresentazione, nota da un unico altro esemplare conservato a Boston, di Atena in atto di suonare l’aulos, il doppio flauto inventato dalla dea secondo una tradizione letteraria conservataci da Pindaro. La dea, smesso l’abito guerriero poggiando a terra lo scudo e la lancia, si siede sulla propria egida ed è colta qui con lo sguardo quasi pensoso, mentre gonfia le guance e soffia nell’aulos per ricavare la melodia. Ma appena poco dopo, vedendo il proprio volto, riflesso in un fiume o in uno specchio, deformato dall’atto del suonare, la dea getterà via con orrore lo strumento, che segnerà successivamente il destino del satiro Marsia.
Cratere a calice del Pittore di Dolone, particolare: Satiro di fronte ad un cratere – 400-380 a.C.
Lo stesso sguardo pensoso e quasi malinconico si ritrova nel satiro appoggiato ad un bastone rappresentato sul piccolo ma importante cratere a calice attribuito da A.D. Trendall al Pittore di Dolone, uno degli antesignani della produzione italiota a figure rosse, attivo a Metaponto fra la fine del V secolo a.C. e l’inizio del secolo successivo. La scena sul lato principale del vaso rappresenta in sembianza di giovane uomo Dioniso, il dio del vino e dell’ebbrezza, particolarmente caro all’iconografia magnogreca, insieme ad un satiro. Gli sguardi dei due personaggi convergono verso un cratere a campana, decorato da due figure stanti, in un raffinato gioco di specchiamento fra il vaso reale che fa da supporto alla scena figurata ed il vaso dipinto, che diventa quasi protagonista della scena.
Oinochoe a figure rosse, particolare: il dio Pan danzante – 350-325 a.C.
Al tiaso dionisiaco appartiene anche il dio Pan, rappresentato su un‘oinochoe del Gruppo del Centauro del British Museum. La divinità è riconoscibile dalle corna e dalle zampe caprine, mentre incede con un’ampia falcata che si trasforma quasi in un passo di danza, tenendo in mano una ghirlanda e un ramo. Colpiscono i tratti rapidi ma incisivi con cui il pittore ha reso la capigliatura del personaggio e ne ha caratterizzato, facendo ampio uso del colore sovradipinto, le zampe ferine: una rappresentazione fresca che rispecchia lo spirito ironico della cultura italiota ed il suo gusto per gli esseri fantastici e irreali.
Florence, National Archaeological Museum: Magna Graecia on display
From the 9th of April until 3th December 2013, the National Archaelogical Museum of Florence houses the exhibition “The Art of Magna Grecia. The Colombo Collection of the National Archaeological Museum of Florence”. For the first time, the exhibition, by Mario Iozzo, shows to the public a representative selection of objects belonging to the Colombo Collection, which was assembled in Southern Italy between the end of the 19th and the beginning of the 20th century. The Italian State acquired part of the Collection in 2012 thanks to the financial support of the Directorate-General for the Promotion of Cultural Heritage (Ministry of Heritage and Culture).
The exhibition takes place on the second floor of the museum, next to the rooms housing the Magna Graecian objects of the ancient collections of the Medici and Lorena families, part of the permanent collection of the museum. Thanks to the exhibition of high quality finds, belonging to a class of material usually quite rare to see on display outside museums of Southern Italy, the display offers an unmissable opportunity to enhance the knowledge of the artistic production of Greek colonies in Southern Italy and the indigenous cultures surrounding them between the VI century b.C. and the I century d.C.
The forty-one objects on display give a wide and complete overview of the material culture belonging both to Greek cities of Southern Italy, as Metapontium and Taranto, and to the indigenous populations living in Daunia and Peucezia (Central and Northern part of present Puglia).
The core of the Collection are Lucan and Apulian red-figured vases dating between the end of the V and the IV century b.C., but there are also other ceramic classes, architectural terracotta, alabaster vases and metal objects (golden, bronze and lead).
The terracotta figurines on display refers to the religious world and represent goddesses, as Aphrodite and Artemis, and standing or sitting worshippers. Such statuettes refers to local worships linked with popular devotion and protection of female fertility.
On the other side, the ceramic vases of the Collection come probably from funerary contexts. Some of them were designed to prepare and drink wine during the symposium (as kraters and oinochoai), others to be used for the wedding ceremonies (as the great phiale or the lebes gamikos) and other ritual occasions. Many of the depicted scenes refer to the sphere of marriage and more generally to the cult of Eros: they often show young women and men on their way to the sanctuary of Eros bringing offers and flowers wreaths.
Some of the vases bear mythological scenes. Among them there is a rare representation of Athena playing the double flute (aulos), known from an only other example from Boston. The goddess, which according to the Greek poet Pindar created the musical instrument, is represented sitting on her cuirass, her shield and spear resting next to her, a thoughtful look in her eyes. She is blowing in the aulos with her cheeks puffed out but, according to the myth, she threw away the instrument, horrified, when she saw her face reflected in a river or a mirror, deformed by the act of playing.
A similar thoughtful and almost melancholy gaze is shown by the Satyr leaning on a stick represented on the small but important calyx-crater ascribed by A.D. Trendall to the Dolon Painter, one of the pioneers of the Italiote red-figured production. The scene on the main side of the vase shows a young Dionysus (god of wine and inebriation, particularly dear to the Magna Graecian iconography) together with a satyr. The gaze of both characters converge on a bell-krater decorated with two standing figures, in a refined game of mirroring between the real vase bearing the scene and the depicted vase, which become almost the protagonist of the scene.