#8marzoalmuseo: la più bella tra le donne (e tra le dee!)

Cipride*, che fra gli dei il desiderio dolce fomenta, e sopraffà in suo dominio le stirpi di genti mortali…
(Inno omerico ad Afrodite)

L’8 marzo al MAF è l’occasione per raccontare le donne nel mondo antico: i volti più noti del museo, la vita quotidiana e il mito. Quest’anno vi presentiamo infatti un itinerario alla ricerca della più bella tra le donne e le dee, Afrodite, proprio a partire dal recente riallestimento all’interno del percorso museale di una scultura che la rappresenta.
La prima Afrodite che accoglie i visitatori si trova al piano terreno, nell’ambiente di passaggio oltre l’ingresso del museo: si tratta di una scultura in marmo probabilmente italico. Si tratta dell’Afrodite “tipo Louvre-Napoli”, derivante da un prototipo verosimilmente di bronzo della fine del V sec. a.C., attribuito allo scultore Callimaco. La copia esposta sarebbe da datare ancora in tarda ellenistica (I sec. a.C.).

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Una copia? Sì, la maggior parte delle sculture greche che conosciamo sono repliche (risalenti a varie epoche) delle statue originali; esse venivano create ad uso dei ricchi cittadini romani, che amavano utilizzarle per decorare le dimore della Capitale e, soprattutto, i loro fastosi giardini, che risultavano così “popolati” da divinità e creature fantastiche seminascoste nel verde, come in una ambientazione teatrale.

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La replica, integra, conservata al Louvre (fonte)

La statua del tipo in questione raffigura la dea con un braccio alzato a sollevare un lembo del mantello ed uno portato in avanti; le copre il corpo un chitone leggerissimo, reso con un panneggio che gli studiosi definiscono “bagnato“: la stoffa infatti aderisce completamente al corpo, disegnandone le forme in maniera sensuale, come se fosse inzuppata d’acqua.
Un’altra Afrodite, o meglio Turan, come la chiamavano gli Etruschi, si trova al primo piano del museo, incisa su uno specchio in bronzo etrusco. L’incisione decorava la parte posteriore dello specchio, dalla superficie leggermente concava (sull’altra, leggermente convessa e lucidata, ci si specchiava). Nello specchio sono incise quattro figure: a sinistra la coppia formata dagli amanti Laran (Marte) e Turan; a destra Elena e Paride, coppia nata proprio per l’intercessione della dea. Turan, qui abbigliata con una lunga tunica, è spesso rappresentata sugli specchi e sugli oggetti della toeletta femminile per la sua affinità col mondo muliebre.

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Altre immagini di Afrodite si trovano rappresentate sui vasi attici esposti al secondo piano del museo, e anche queste sono legate al ciclo della guerra di Troia,  o meglio alla sua ragione scatenante. La guerra tra Greci e Troiani scaturì infatti a seguito del rapimento di Elena, moglie di Menelao, da parte di Paride, principe troiano. Ma perché Elena fu rapita? La causa furono proprio le trame di Afrodite, che nella gara di bellezza con Atena ed Era corruppe il giudice Paride con la promessa dell’amore della più bella tra le donne, appunto Elena. Sui vasi conservati al MAF Afrodite è rappresentata sia  nella scena col giudizio di Paride che come invitata al matrimonio di Peleo e Teti.  Fu proprio a quel matrimonio, infatti, che Eris,  la dea della discordia, adirata per non essere stata invitata, lanciò sul tavolo la mela d’oro con su scritto “alla più bella”, provacando il litigio tra le dee.

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Anfora attica, 510 a.c. circa.

Su un’anfora a figure nere le tre dee sono condotte da ermes, messaggero degli dei, al cospetto di Paride, che dovrà scegliere la più bella; sul vaso François, invece, nel fregio principale, Afrodite partecipa accompagnata da Ares al corteo divino in onore delle nozze di Peleo. Le figure non si vedono, ma siamo certi della loro presenza grazie ai nome scritto vicino all’ansa.

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Ricordiamo che mercoledì 8 marzo, per la Giornata Internazionale della Donna, l’ingresso al MAF (come in tutti i musei statali) sartà gratuito per tutte le donne.

*Afrodite viene chiamata anche Cipride perché, subito dopo la nascita dalla spuma del mare, sarebbe approdata a Cipro, dove era particolarmente venerata.

Firenze, Museo Archeologico Nazionale: San Valentino al museo

In occasione di San Valentino, festa degli innamorati, vi suggeriamo un itinerario, tra i tanti possibili all’interno del museo Archeologico Nazionale di Firenze, che focalizzi l’attenzione sui reperti che in qualche modo parlano d’amore. Buona visita dunque, virtuale o reale che essa sia!

Il nostro percorso ideale prende il via al piano terreno, negli spazi tra il Salone del Nicchio, che ospita la mostra “Cortona. L’alba dei principi etruschi” e quelli dell’ex museo topografico, dove è ancora allestita la mostra “Signori di Maremma”. È proprio qui che si trova un altare funerario romano, concepito per conservare i resti terreni di due coniugi ed allo stesso tempo accogliere le offerte e le preghiere a loro rivolte. Sulla sommità dell’altare sono infatti due cavità funzionali all’inserimento delle due urne cinerarie, mentre sulla faccia principale è rappresentato il momento saliente della cerimonia matrimoniale. I due sposi sono colti infatti nell’atto della dextrarum iunctio, la giunzione delle mani destre, il gesto che sanciva l’unione della coppia maritale. Dei coniugi conosciamo il nome, iscritto nella parte anteriore dell’altare: Vinicius Corinthus e Vinicia. Tra i due personaggi è una iscrizione che riporta anche i nomi di Vinicia Glaphyra e di suo figlio Vinicius Castus, che indica che il monumento, originario dell’età augustea, fu riutilizzato in epoca successiva.altare_funerario

Altare funerario romano. Nei dettagli le cavità per le urne, le iscrizioni, la dextrarum iunctioAl termine del lungo corridoio del piano terreno, subito dopo la fine della mostra, si trova sulla sinistra una vetrina dedicata all’infanzia: all’interno sono raccolti giochi e rappresentazioni di fanciulli, alcuni dei quali alati. Si tratta di amorini, rappresentazioni del dio greco Eros (Amor per i Romani) in forme infantili, a simboleggiarne la tenerezza ed allo stesso tempo la capricciosità. La rappresentazione del dio fanciullo, tipica dell’età ellenistica, lo vuole ritratto intento a maneggiare le sue armi, arco e frecce, a suonare il flauto oppure languidamente addormentato.

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Amorini in bronzo

Al primo piano del museo, nella sala III della sezione egizia, davanti al carro, si incontra invece una curiosa rappresentazione di un uomo seduto affiancato da due donne. Si tratta dello scriba Huemascia, che abbraccia la moglie Baket (il nome è iscritto sulla tunica), vissuto durante la XVIII dinastia (XVI-XIV sec. a.C.). Stranamente, la moglie è rappresentata due volte, a destra e a sinistra del marito, forse per simmetria nella composizione della scultura. Sul retro sono invece rappresentati i nove figli della coppia, ciascuno con l’indicazione del proprio nome.

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Ritratto dello scriba Huemascia e della moglie Baket, XVI-XIV sec. a.C.

Salendo al secondo piano del museo, all’inizio del corridoio centrale, si incontra, accanto al ritratto di Treboniano Gallo, quello di Antinoo. Amasio dell’imperatore Adriano, vissuto nella prima metà del II sec. d.C., Antinoo era un giovane originario della Bitinia che si unì al seguito dell’imperatore e lo accompagnò sempre nei suoi viaggi, fino all’ultimo, tragico, in Egitto, durante il quale morì annegato nel Nilo. L’imperatore in sua memoria eresse una città, Antinoe, lo divinizzò e gli dedicò statue in tutto l’Impero.

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Ritratto di Antinoo, 130-134 d.C. o ritratto all’antica

L’itinerario si conclude con le raffigurazioni dei miti greci sulla ceramica attica. Nella sala XII troviamo uno dei capolavori ospitati dal Museo, il Vaso François. Sul corpo del vaso si dispiega una vera e propria antologia illustrata del mito greco: sulla spalla troviamo anche la rappresentazione di un famosissimo matrimonio, cui fece seguito un avvincente intreccio di amori e tradimenti alle origini nientemeno che della guerra di Troia. Si tratta del matrimonio di Peleo e Teti, i genitori di Achille. Gli sposi sono rappresentati lui davanti a casa, nell’atto di salutare gli invitati che portano doni, e lei seduta all’interno dell’abitazione (si conserva soltanto la parte inferiore del corpo).

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Peleo e Teti sulla spalla del vaso François

Alla festa di nozze per Peleo e Teti, cui parteciparono tutti gli dei,  non fu invitata Eris, dea della discordia, che per vendicarsi offrì “alla più bella” tra le dee un pomo d’oro. A dirimere la contesa immediatamente sorta tra Afrodite, Atena ed Era su chi meritasse il pomo fu chiamato il principe troiano Paride, che come ricompensa per aver scelto Afrodite ricevette l’amore della bella Elena, moglie del greco Menelao. Ed è proprio il giudizio di Paride che troviamo raffigurato su un’anfora della sala XIII: le tre dee, sulla sinistra della scena, attendono al cospetto di Hermes il responso del principe, all’estrema destra.

Anfore attiche. A sin. il giudizio di Paride, 510 circa a.C.; a des. Elena e Menelao, 520-510 a.C. circa
Anfore attiche. A sin. il giudizio di Paride, 510 circa a.C.; a des. Elena e Menelao, 520 a.C. circa

Il rapimento di Elena da parte di Paride causò l’ira dei Greci, che mossero guerra alla città di Troia. Al termine dei dieci lunghi anni di conflitto Menelao riuscì a ricondurre a casa la moglie traditrice, come raffigurato sull’anfora posizionata accanto alla precedente.

 

Il pdf dell’articolo è scaricabile cliccando sull’icona sottostante… vi aspettiamo, allora, per festeggiare S. Valentino al Museo!

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