Banchetti e ballerini

Sulla copertina del catalogo dedicato alla mostra “Tesori dalle terre d’Etruria“, che espone i pezzi appartenenti alla collezione dei conti Passerini, spiccano due agili figure che sembrano voler balzare fuori dalla pagina stampata. Ma chi sono questi due giovani, lei riccamente abbigliata e lui senza abiti, tutto preso dai suoi passi di danza?

L’immagine si trova al centro di un piattino di ceramica attica, forse un piatto da portata o forse decorativo, da appendere alla parete (grazie ai due fori nella parte posteriore: proprio come si usa fare ancora oggi). Il soggetto è strettamente connesso con l’ambiente del banchetto e del simposio: una giovane flautista provvede alla musica, mentre un danzatore dai tratti somatici africani accompagna le note con movimenti aggraziati. Uno spettacolo a cui erano ben avvezzi gli uomini (le donne banchettanti non erano ammesse in Grecia, a differenza di quanto accadeva in Etruria) che partecipavano a questi raduni.

L’abbigliamento della giovane, con la tunica decorata, il mantello, i gioielli indossati al collo e alle orecchie e il copricapo di foggia orientale, la qualifica come una megalomisthos, una professionista d’alto bordo che, in coppia con il suo esotico compagno, aveva il compito di allietare i banchetti degli uomini con le proprie arti; non una prostituta che offriva le sue prestazioni per poche dracme, tanto condannate dalla società greca.

Dei due giovani conosciamo anche i nomi, sovradipinti con piccoli caratteri rossi tutto intorno al tondo (quello di lei, Hippotia) e verticalmente tra le due figure (quello di lui, Amasis); entrambi sono nomi “parlanti”, allusivi al mestiere e alle origini dei due. Hippotia è letteralmente “colei che cavalca”, con una chiara allusione al concetto di cavalcare nella sfera sessuale; Amasis (faraone filelleno della XXVI dinastia, nel VI sec. a.C.) è invece il nome tipico di tutti gli africani.

Disegno del piatto in cui sono visibili i nomi scritti a minuscoli caratteri

La pittura del piatto, in base ai confronti stilistici, è attribuita al pittore Paseas, le cui opere erano evidentemente molto apprezzate nel territorio di Chiusi (conosciamo ben sette piatti riconducibili a questo ceramografo provenienti dalla zona). Una delle sue caratteristiche è la realizzazione di alcune parti della pittura a “rilievo”: la linea di contorno delle figure, per esempio, dipinta con una vernice più densa, e i riccioli del ballerino, realizzati con dei minuscoli globetti di argilla poi dipinti con la vernice nera. Una tecnica la cui invenzione è da attribuire al grande pittore Exekias, e che Paseas ereditò forse da Psiax tramite il pittore di Andokides, che di Exekias fu allievo diretto.

Dettaglio in cui sono visibili le parti a rilievo

Martedì grasso: ecco la nostra… “sfilata”!

O Fallo, Fallo,

Se bevi con noi, alla mattina, dopo la sbornia,

tracannerai una coppa di pace!

Lo scudo rimarrà appeso sopra il camino.

(Aristofane, Acarnesi, 276-279)

Mimetizzata con nonchalanche tra tante altre kylikes (coppe) attiche in una vetrina al secondo piano del MAF ce n’è una, a figure nere, piccolina e apparentemente anonima. A guardarla bene, però, non può non suscitare un sorriso: su entrambi i lati gruppi di uomini portano in processione un enorme fallo pieno di occhi. Sul lato principale il fallo è issato su un supporto portato a spalla da un gruppo di uomini, e nonostante la sua forma inequivocabile, termina con una testa equina con tanto di orecchie, redini e ornamenti. A cavalcioni del fallo sta un enorme satiro, a sua volta cavalcato da una figuretta che suona il corno e lo sprona con un frustino.

Sull’altro lato la scena è più o meno la stessa; sul supporto, sopra il fallo, c’è una figura umana enorme e grottesca, con la pancia prominente. In entrambi i lati, sullo sfondo, sono dipinti tralci di vite, a indicare il contesto dionisiaco in cui si svolge la scena.

Dalle fonti sappiamo che ad Atene, nel mese di Poseidon, nel periodo corrispondente a fine dicembre inizi gennaio, si svolgevano le feste Dionisie rurali, nell’ambito delle quali un po’ in tutta l’Attica si tenevano cortei fallici, con grandi simulacri portati in processione (la phallophoria, appunto, da phallos e phero, portare). Il momento culminante della festa è proprio quello in cui il grande simulacro del fallo (dalle sembianze equine per il processo della apotheriosis, la trasformazione in animale che carattrizza le creature dionisiache) viene portato in processione, quello a cui si riferisce il protagonista della commedia di Aristofane sopra citata. Il simulacro sarebbbe stato un tronco di legno con il glande modellato in cuoio o scolpito in legno di fico (particolarmente morbido), come quello che Dioniso avrebbe scolpito da sé, dopo essere risalito dagli Inferi, per utilizzarlo in un rituale mistico.

L. Alma-Tadema, “Una dedica a Bacco” (fonte)

L’origine di queste celebrazioni sarebbe da rintracciare, secondo quanto dice uno scolio* agli stessi versi degli Acarnesi, in una espiazione imposta da Dioniso agli abitanti dell’Attica, che non avrebbero accolto con il dovuto riguardo l’introduzione del suo culto nella regione. Per questo li avrebbe puniti con una malattia, probabilmente il priapismo, per guarire dalla quale avrebbe ordinato di costruire privatamente e pubblicamente grandi falli in suo onore. La coppa del MAF, datata alla metà del VI sec. a.C., è l’unica raffigurazione dipinta per ora nota di queste scene.

La prima edizione italiana de “Gli Acarnesi”, risalente al 1545 (fonte)

Durante il trasporto del simulacro in processione venivano intonati canti e improvvisati scherzi e oscenità; secondo Aristole sarebbe da questi versi che discende niente meno che il genere della commedia. Ad essa sembra rimandare direttamente anche la figura panciuta che sovrasta il fallo nel lato B della coppa: essa somiglia infatti a un comasta, (partecipante agli sfrenati rituali dionisiaci) e al costume del personaggio caratteristico della Commedia Antica, con pancia pronunciata e natiche prominenti.

Con questo approfondimento, così poco serio e al contempo denso di significati storici e antropologici, il MAF vi augura buon Carnevale, e…

“…Chi vuol esser lieto sia!”

* scolio: le note che gli studiosi tardi avevano apposto a margine dei testi della letteratura classica, trascritte poi nei codici medievali, attraverso cui sono giunti fino a noi.

#8marzoalmuseo: la più bella tra le donne (e tra le dee!)

Cipride*, che fra gli dei il desiderio dolce fomenta, e sopraffà in suo dominio le stirpi di genti mortali…
(Inno omerico ad Afrodite)

L’8 marzo al MAF è l’occasione per raccontare le donne nel mondo antico: i volti più noti del museo, la vita quotidiana e il mito. Quest’anno vi presentiamo infatti un itinerario alla ricerca della più bella tra le donne e le dee, Afrodite, proprio a partire dal recente riallestimento all’interno del percorso museale di una scultura che la rappresenta.
La prima Afrodite che accoglie i visitatori si trova al piano terreno, nell’ambiente di passaggio oltre l’ingresso del museo: si tratta di una scultura in marmo probabilmente italico. Si tratta dell’Afrodite “tipo Louvre-Napoli”, derivante da un prototipo verosimilmente di bronzo della fine del V sec. a.C., attribuito allo scultore Callimaco. La copia esposta sarebbe da datare ancora in tarda ellenistica (I sec. a.C.).

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Una copia? Sì, la maggior parte delle sculture greche che conosciamo sono repliche (risalenti a varie epoche) delle statue originali; esse venivano create ad uso dei ricchi cittadini romani, che amavano utilizzarle per decorare le dimore della Capitale e, soprattutto, i loro fastosi giardini, che risultavano così “popolati” da divinità e creature fantastiche seminascoste nel verde, come in una ambientazione teatrale.

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La replica, integra, conservata al Louvre (fonte)

La statua del tipo in questione raffigura la dea con un braccio alzato a sollevare un lembo del mantello ed uno portato in avanti; le copre il corpo un chitone leggerissimo, reso con un panneggio che gli studiosi definiscono “bagnato“: la stoffa infatti aderisce completamente al corpo, disegnandone le forme in maniera sensuale, come se fosse inzuppata d’acqua.
Un’altra Afrodite, o meglio Turan, come la chiamavano gli Etruschi, si trova al primo piano del museo, incisa su uno specchio in bronzo etrusco. L’incisione decorava la parte posteriore dello specchio, dalla superficie leggermente concava (sull’altra, leggermente convessa e lucidata, ci si specchiava). Nello specchio sono incise quattro figure: a sinistra la coppia formata dagli amanti Laran (Marte) e Turan; a destra Elena e Paride, coppia nata proprio per l’intercessione della dea. Turan, qui abbigliata con una lunga tunica, è spesso rappresentata sugli specchi e sugli oggetti della toeletta femminile per la sua affinità col mondo muliebre.

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Altre immagini di Afrodite si trovano rappresentate sui vasi attici esposti al secondo piano del museo, e anche queste sono legate al ciclo della guerra di Troia,  o meglio alla sua ragione scatenante. La guerra tra Greci e Troiani scaturì infatti a seguito del rapimento di Elena, moglie di Menelao, da parte di Paride, principe troiano. Ma perché Elena fu rapita? La causa furono proprio le trame di Afrodite, che nella gara di bellezza con Atena ed Era corruppe il giudice Paride con la promessa dell’amore della più bella tra le donne, appunto Elena. Sui vasi conservati al MAF Afrodite è rappresentata sia  nella scena col giudizio di Paride che come invitata al matrimonio di Peleo e Teti.  Fu proprio a quel matrimonio, infatti, che Eris,  la dea della discordia, adirata per non essere stata invitata, lanciò sul tavolo la mela d’oro con su scritto “alla più bella”, provacando il litigio tra le dee.

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Anfora attica, 510 a.c. circa.

Su un’anfora a figure nere le tre dee sono condotte da ermes, messaggero degli dei, al cospetto di Paride, che dovrà scegliere la più bella; sul vaso François, invece, nel fregio principale, Afrodite partecipa accompagnata da Ares al corteo divino in onore delle nozze di Peleo. Le figure non si vedono, ma siamo certi della loro presenza grazie ai nome scritto vicino all’ansa.

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Ricordiamo che mercoledì 8 marzo, per la Giornata Internazionale della Donna, l’ingresso al MAF (come in tutti i musei statali) sartà gratuito per tutte le donne.

*Afrodite viene chiamata anche Cipride perché, subito dopo la nascita dalla spuma del mare, sarebbe approdata a Cipro, dove era particolarmente venerata.