Domenica 18 marzo è stata inaugurata al Museo del Bardo di Tunisi la mostra “Antichità d’Africa agli Uffizi”, che resterà visitabile fino al 30 settembre. La mostra è dedicata alle antichità romane provenienti dalla Tunisia e presenti da oltre tre secoli nelle collezioni degli Uffizi e nei depositi del MAF: ventiquattro pezzi – epigrafi e stele votive e funerarie, per lo più – che per duecento anni hanno fatto bella mostra di sé nella sala d’ingresso della galleria fiorentina, al tempo uniche testimonianze in Europa dell’Africa romana.
L’evento, a tre anni dall’attentato terroristico del 18 marzo 2015, rafforza i legami culturali tra Toscana e Tunisia, le cui radici sono secolari. La mostra, realizzata in collaborazione con l’Istituto Italiano locale di Cultura e la curatela degli Uffizi, è interamente finanziata dalla Regione e vuole essere un modo per contribuire alla ripresa del turismo culturale del paese.
La storia delle epigrafi inizia nel Seicento, quando il medico e archeologo pisano Giovanni Pagni si recò in Tunisia attratto dal fascino dell’antica città di Cartagine e lì rimase per un anno al servizio del Bey Murad II. Un viaggio avventuroso, in un luogo in quegli anni non facilmente accessibile, alla fine del quale il Bey Murad, riconoscente per la guarigione ottenuta grazie all’intervento del giovane medico e professore toscano, lo colmò di doni. Tra questi spiccava appunto una raccolta di oltre venti opere tra epigrafi, stele funerarie e stele votive di epoca imperiale romana, che entrarono a far parte della collezione del cardinal Leopoldo de’ Medici, passate alla morte di questo nelle collezioni degli Uffizi, dove furono incastonate negli stucchi di Giovanni Battista Foggini, il massimo esponente del Barocco fiorentino, nell’allestimento delle due stanze a T dette “Ricetto delle Iscrizioni“. Smantellato questo nel 1911, le iscrizioni furono trasferite al Museo Archeologico per essere unite alla già ampia collezione di epigrafia (sono ben 20 i pezzi che provengono dai nostri depositi).
Giovanni Pagni nel quadro proveniente dall’Università di Pisa (fonte)
Nella mostra è riunita per la prima volta la quasi totalità dei reperti raccolti da Pagni da antiche località dell’Africa proconsolare. Fra queste spiccano una complessa e articolata dedica a Giulia Domna, moglie dell’imperatore Settimio Severo in cui si ricorda la località di Pagus Mercurialis, non altrimenti nota, e un grandioso frammento di architrave dell’antica Suas, che celebra la costruzione, sotto il regno di Marco Aurelio, di un tempio, di un arco e di un complesso di portici. A questi pezzi si aggiungono quattro rilievi punico-romani, provenienti da Cartagine e che raffigurano le massime divinità del Pantheon africano di età imperiale. Offerti in vendita allo Stato da una certa vedova Maddalena Bassano, furono acquistate nel 1873 da Francesco Gamurrini, direttore delle Regie Gallerie di Firenze, proprio per completare quella singolare collezione unica in Italia.
Cipride*, che fra gli dei il desiderio dolce fomenta, e sopraffà in suo dominio le stirpi di genti mortali…
(Inno omerico ad Afrodite)
L’8 marzo al MAF è l’occasione per raccontare le donne nel mondo antico: i volti più noti del museo, la vita quotidiana e il mito. Quest’anno vi presentiamo infatti un itinerario alla ricerca della più bella tra le donne e le dee, Afrodite, proprio a partire dal recente riallestimento all’interno del percorso museale di una scultura che la rappresenta.
La prima Afrodite che accoglie i visitatori si trova al piano terreno, nell’ambiente di passaggio oltre l’ingresso del museo: si tratta di una scultura in marmo probabilmente italico. Si tratta dell’Afrodite “tipo Louvre-Napoli”, derivante da un prototipo verosimilmente di bronzo della fine del V sec. a.C., attribuito allo scultore Callimaco. La copia esposta sarebbe da datare ancora in tarda ellenistica (I sec. a.C.).
Una copia? Sì, la maggior parte delle sculture greche che conosciamo sono repliche (risalenti a varie epoche) delle statue originali; esse venivano create ad uso dei ricchi cittadini romani, che amavano utilizzarle per decorare le dimore della Capitale e, soprattutto, i loro fastosi giardini, che risultavano così “popolati” da divinità e creature fantastiche seminascoste nel verde, come in una ambientazione teatrale.
La statua del tipo in questione raffigura la dea con un braccio alzato a sollevare un lembo del mantello ed uno portato in avanti; le copre il corpo un chitone leggerissimo, reso con un panneggio che gli studiosi definiscono “bagnato“: la stoffa infatti aderisce completamente al corpo, disegnandone le forme in maniera sensuale, come se fosse inzuppata d’acqua.
Un’altra Afrodite, o meglio Turan, come la chiamavano gli Etruschi, si trova al primo piano del museo, incisa su uno specchio in bronzo etrusco. L’incisione decorava la parte posteriore dello specchio, dalla superficie leggermente concava (sull’altra, leggermente convessa e lucidata, ci si specchiava). Nello specchio sono incise quattro figure: a sinistra la coppia formata dagli amanti Laran (Marte) e Turan; a destra Elena e Paride, coppia nata proprio per l’intercessione della dea. Turan, qui abbigliata con una lunga tunica, è spesso rappresentata sugli specchi e sugli oggetti della toeletta femminile per la sua affinità col mondo muliebre.
Altre immagini di Afrodite si trovano rappresentate sui vasi attici esposti al secondo piano del museo, e anche queste sono legate al ciclo della guerra di Troia, o meglio alla sua ragione scatenante. La guerra tra Greci e Troiani scaturì infatti a seguito del rapimento di Elena, moglie di Menelao, da parte di Paride, principe troiano. Ma perché Elena fu rapita? La causa furono proprio le trame di Afrodite, che nella gara di bellezza con Atena ed Era corruppe il giudice Paride con la promessa dell’amore della più bella tra le donne, appunto Elena. Sui vasi conservati al MAF Afrodite è rappresentata sia nella scena col giudizio di Paride che come invitata al matrimonio di Peleo e Teti. Fu proprio a quel matrimonio, infatti, che Eris, la dea della discordia, adirata per non essere stata invitata, lanciò sul tavolo la mela d’oro con su scritto “alla più bella”, provacando il litigio tra le dee.
Anfora attica, 510 a.c. circa.
Su un’anfora a figure nere le tre dee sono condotte da ermes, messaggero degli dei, al cospetto di Paride, che dovrà scegliere la più bella; sul vaso François, invece, nel fregio principale, Afrodite partecipa accompagnata da Ares al corteo divino in onore delle nozze di Peleo. Le figure non si vedono, ma siamo certi della loro presenza grazie ai nome scritto vicino all’ansa.
Ricordiamo che mercoledì 8 marzo, per la Giornata Internazionale della Donna, l’ingresso al MAF (come in tutti i musei statali) sartà gratuito per tutte le donne.
*Afrodite viene chiamata anche Cipride perché, subito dopo la nascita dalla spuma del mare, sarebbe approdata a Cipro, dove era particolarmente venerata.
Questo post è dedicato alle collezioni archeologiche fiorentine “esuli” fuori dalle mura del MAF, ma che idealmente costituiscono un tutt’uno con gli inquilini del Palazzo della Crocetta…
La grande ampiezza e varietà delle collezioni del Museo Archeologico di Firenze, raccolte nel complesso del Palazzo degli Innocenti e Palazzo della Crocetta, tutto lascia pensare meno che manchi qualcosa della complessa eredità che il passato e le grandi famiglie che hanno governato la città hanno lasciato a Firenze. Eppure c’è una grande assente nelle sale piene di ceramica, ori e bronzi antichi: un’assente che poi è forse, ironicamente, anche la prima a balzare alla mente quando si pensa ad un museo di arte antica: la statuaria in marmo e in pietra!
Le sculture antiche, in realtà, non sono una lacuna nelle raccolte archeologiche del museo; semplicemente, la storia delle collezioni, degli allestimenti e i capricci dell’Arno hanno fatto sì che oggi esse siano distaccate dal resto dei reperti, conservate in parte nella Galleria degli Uffizi e in parte nel Museo di Villa Corsini a Castello, un piccolo gioiello non solo per ciò che contiene, ma anche per l’architettura dell’edificio e del giardino che lo completa.
Villa Corsini, sulle pendici delle colline che circondano Firenze, appartiene, con la Villa Reale, la Petraia (entrambe a Castello) e la Villa di Careggi, al circuito “cittadino” delle ville medicee di Firenze. Qui furono trasferite le sculture che l’Alluvione del ’66 aveva costretto a eliminare dall’allestimento interno al MAF. Dopo una prima sistemazione nel giardino del Palazzo della Crocetta (voluta da L. Adriano Milani agli inizi del XIX secolo), infatti, le sculture furono ricollocate all’interno del Palazzo degli Innocenti in occasione della creazione del Museo Topografico dell’Etruria, in parte a causa della riduzione degli spazi del giardino, in parte per garantirne una migliore conservazione. Sebbene l’allestimento en-plein-air fosse di grande suggestione e richiamasse quello degli antichi horti, i giardini delle ville dei patrizi romani, l’usura degli agenti atmosferici aveva infatti danneggiato i reperti.
Le statue collocate nel giardino
Nel 1949 le sculture più importanti erano esposte nel salone al piano terreno del Palazzo degli Innocenti. Dopo il disastro dell’Alluvione, negli anni Ottanta, in occasione dei lavori per la ristrutturazione dell’ex museo topografico e per la creazione dei depositi del museo fu deciso il loro trasferimento (eccetto che per i due kouroi, ancora oggi esposti infatti nelle nostre sale) nei depositi della villa che era stata la dimora di Filippo Corsini, consigliere del Granduca Cosimo III, passata nel frattempo nelle proprietà dello Stato.
La villa, con la sua elegante facciata tardo barocca dall’inconfondibile colore rosato, finita di ristrutturare completamente nel 2010, si articola in un cortile, da cui si accede al Salone delle Feste, affacciato sul giardino, magnificamente affrescato e animato dalle sculture più significative della collezione, e in un primo piano, che ospita oggi l’allestimento dei reperti antichi provenienti dalla piana fiorentina e della città etrusca di Gonfienti.
Il Museo di Villa Corsini fa parte, come il MAF, del Polo Museale della Toscana; si trova in via della Petraia, 38 a Firenze, ed è visitabile gratuitamente, con visite accompagnate ad ogni ora, con il seguente orario:
Da aprile a settembre:
1°-3° venerdì e tutti i sabati di ogni mese dalle ore 14:00 alle ore 18:00
2^ e 4^ domenica di ogni mese dalle ore 9:00 alle ore 14:00
Da ottobre a marzo:
2^ e 4^ domenica di ogni mese dalle ore 9:00 alle ore 14:00 Poiché quest’anno la quarta domenica del mese, 25 dicembre 2016, coincide con il S. Natale, la Villa sarà aperta al pubblico la seconda e la terza domenica: 11 e 18 dicembre 2016.
Come ogni autunno da qualche anno a questa parte il MAF – Museo Archeologico Nazionale di Firenze rinnova l’appuntamento con gli Incontri al Museo, una serie di 11 conferenze che si svolgeranno nello spazio conferenze al piano terra del Museo di giovedì alle 17 secondo il calendario che vi proponiamo qui di seguito:
Programma degli Incontri al Museo 2015-2016 al MAF – Museo Archeologico Nazionale di Firenze
Giovedì 1 ottobre 2015: Luigi Donati (Università degli Studi di Firenze): Nuove scoperte su un’Etruria minore: gli Etruschi nella Valle del Sambre (Fiesole)
Giovedì 22 ottobre 2015: Andrew J. Clasrk (Los Angeles, USA): Maenads or Amazons? Women riding donkeys on an Athenian Krater (Menadi o Amazzoni? Donne sull’asino su un cratere ateniese) – in inglese con traduzione simultanea
Giovedì 26 novembre 2015: Giovannangelo Camporeale (Accademia dei Lincei – Istituto Nazionale di Studi Etruschi e Italici): Reimpiego di manufatti e reintroduzione di usi etruschi: dall’Antichità al XIX secolo
Giovedì 17 dicembre 2015: Andrea Pessina (Soprintendenza Archeologia della Toscana): Presentazione del Notiziario della Soprintendenza Archeologia della Toscana, vol. 10 (2014)
Giovedì 28 gennaio 2016: Adriano Maggiani (Università degli Studi “Ca’ Foscari”, Venezia): Il mistero delle due Ippodamie: miti greci nella scultura etrusca
Giovedì 11 febbraio 2016: Simona Rafanelli – Giuseppe M. Della Fina (Museo Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia; Museo Claudio Faina di Orvieto): Presentazione dell’edizione italiana di G.Dennis, Città e necropoli d’Etruria, Siena 2015
Giovedì 25 febbraio 2016: Elena Ghisellini (Università degli Studi di Roma Tor Vergata): I ritratti di Arsinoe III Philopator, specchio di un’amara vicenda esistenziale
Giovedì 17 marzo 2016: Fabrizio Paolucci (Uffizi): Aurata marmora. L’uso della doratura nella statuaria romana alla luce di alcune sculture della Galleria degli Uffizi
Giovedì 21 aprile 2016: Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale: Attività di contrasto dei Carabinieri agli illeciti in materia di Beni Culturali
Giovedì 19 maggio 2016: Massimo Vidale (Università degli Studi di Padova): Dall’Afganistan al Mediterraneo: tecnologia e commercio del lapislazzuli nell’Età del Bronzo
Giovedì 9 giugno 2016: Stefano Casciu (Polo Museale Regionale della Toscana): L’origine del genere della natura morta tra Cinquecento e Seicento e i suoi legami con il mondo antico
Tutti gli Incontri sono a ingresso libero. In caso di variazioni nel calendario vi informeremo tempestivamente attraverso i nostri canali social twitter @MAF_Firenze e facebook @Archeotoscana
“Mentre l’indefessa attività degli archeologi si esercita vittoriosamente a dissotterrare e a decifrare i resti dell’antichissima civiltà dell’Oriente, dell’Egitto, della Siria, di Creta, non si arresta il lavoro tenace della scienza attorno all’insoluto problema etrusco“.
Con queste parole apriva il 24 febbraio 1926 l’articolo “Il Museo Archeologico di Firenze com’è e come sarà“, scritto dall’archeologo Doro Levi il quale, dopo aver tracciato, nei toni enfatici tipici di quegli anni, un’ampia panoramica della collezione museale, passava a descrivere i lavori che da lì in avanti avrebbero riguardato il Museo, lavori di ristrutturazione, ampliamento, nuovo allestimento.
L’Articolo de Il Nuovo Giornale del 24.2.1926 dedicato agli interventi di ampliamento del Museo
Punto focale del grande rinnovamento del Museo è l’acquisto del Palazzo Ex-Innocenti che affaccia su Piazza SS. Annunziata. Da qui avverrà il nuovo ingresso al Museo, motivo per cui si rende necessario modificare totalmente il percorso di visita, quindi ripensare l’allestimento, soprattutto del Museo Topografico d’Etruria.
Il Palazzo non è di proprietà statale, pertanto negli anni ’30 si avviano tutte le pratiche necessarie all’acquisizione al demanio e all’acquisto da parte dello Stato. Il procedimento ha inizio nel 1934; tra perizie e preventivi nel 1937 il Ministero non ha ancora deciso se acquistare o meno l’immobile; solo nel 1938, finalmente, esprime parere favorevole. Finalmente il 29 novembre 1940 viene stipulato l’atto di compravendita e il 29 settembre 1941 l’edificio passa per il tramite del demanio in consegna al Ministero dell’Educazione Nazionale e quindi alla Soprintendenza per le Antichità d’Etruria.
Prospetto del Palazzo Innocenti, in vista dell’acquisizione al Museo
Inutile dire che con la Guerra tutto rimane incompiuto: il Museo è chiuso al pubblico, i lavori sono sospesi, è sospeso il pagamento dell’ultima rata. Durante la guerra il Museo non subisce particolari danni, le sue opere sono al sicuro; sale agli onori della cronaca solo durante i giorni della Battaglia di Firenze, e alla fine della guerra si ritrova a fare i conti (per fortuna relativamente pochi), con la difficoltà da un lato di ristrutturare ciò che la guerra ha danneggiato, e dall’altro di riprendere i lavori di riallestimento laddove si erano interrotti. L’acquisto dell’edificio Ex-Innocenti viene saldato il 26 ottobre 1945.
Il carteggio che segue dal 1946 in avanti tra la Soprintendenza alle Antichità d’Etruria, nella persona del Soprintendente Antonio Minto, e la Direzione Generale alle Antichità del Ministero della Pubblica Istruzione è un continuo rimpallo di responsabilità tra la Direzione Generale che chiede di velocizzare i lavori per consentire al più presto l’apertura di uno tra i musei archeologici ritenuti più importanti d’Italia, la Soprintendenza, che “accusa” il Genio Civile di essere in ritardo sui lavori, e il Genio Civile che risponde di avere lavori più urgenti da fare: la guerra si è appena conclusa, del resto, e sono molte le ricostruzioni di edifici e opere pubbliche di cui Firenze necessita. Inoltre i fondi a disposizione sono sempre troppo pochi. E almeno su questo aspetto sono tutti d’accordo. Ne è consapevole lo stesso soprintendente Antonio Minto il quale, rispondendo ad un sollecito del Ministero scrive nel 1946:
“Il progetto di costruzione di un nuovo ingresso dal lato di Piazza SS. Annunziata fu approvato fin dal 1925 e in tutti questi anni si è provveduto ad ordinare le collezioni archeologiche in vista di questo nuovo orientamento. Non è quindi più possibile riaprire nemmeno provvisoriamente il vecchio ingresso (…). D’altra parte la cittadinanza fiorentina, per prima, e tutti gli studiosi e visitatori italiani richiedono, con tono di protesta, che esso venga finalmente riaperto. L’Ufficio del Genio Civile di Firenze è oberato attualmente di lavori che, per loro natura, rivestono per esso carattere di assoluta urgenza e che, pertanto, nonostante tutto l’interessamento, l’estensione in forma esecutiva del progetto di massima non potrà essere attuata che con molto ritardo.”
Se sulle prime Antonio Minto giustifica le scelte del Genio Civile, in un secondo tempo il ritardo lo irrita, e se ne lamenta con la Direzione Generale alle Antichità e Belle Arti:
“(…) Com’è ben noto è da più di un ventennio che le raccolte archeologiche fiorentine attendono questa loro sistemazione ed il cattivo stato [del museo] costituisce una visione poco edificante nel cuore della città, in una piazza monumentale com’è quella della SS. Annunziata.”
E in effetti il ritardo nell’apertura del Museo colpisce l’opinione pubblica: ne parla La Nazione, in un articolo del 23 febbraio 1948: “Auguriamoci che davvero la nostra città possa, quale capitale della Regione Toscana, attuare nel campo degli studi archeologici questo rinnovamento”.
Targa dedicata ad Antonio Minto e al suo operato per l’ampliamento del Museo
Il museo riapre i battenti, finalmente, il 2 aprile 1950. L’apertura, su piazza SS. Annunziata 9b, è limitata al solo Museo Topografico dell’Etruria, che già da solo consta di 41 sale. Le altre sezioni invece restano ancora chiuse per penuria di personale ed aprono solo agli studiosi che ne fanno richiesta e compatibilmente con la disponibilità di personale.
L’ultimo ostacolo all’apertura del Museo dal nuovo ingresso su P.za SS. Annunziata è un parcheggio di biciclette, che staziona davanti al portone. Con una richiesta al sindaco di Firenze da parte del Soprintendente Minto, di rimuovere definitivamente questo parcheggio, si chiude definitivamente l’epopea della riapertura del Museo.
La formazione delle collezioni dei musei Archeologici di Firenze ha una storia molto lunga, che inizia con le collezioni di preziose antichità dei Medici, conservate inizialmente agli Uffizi, e prosegue fino alle spedizioni e agli scavi del secolo scorso. I due musei, quello egizio e quello delle antiche collezioni, seguono una storia pressoché parallela che si contestualizza in quel fenomeno di ampia portata che è la formazione dei musei come istituzioni statali nel XIX sec., legata alla formazione delle nazioni moderne.
La targa apposta all’ingresso del Museo Egizio
Nell’età del Romanticismo, tra 1815 e 1848, si registra in Italia una evidente corrispondenza tra le clamorose scoperte archeologiche in Etruria (intere tombe a camera con i loro corredi, sia in Lazio che in Toscana) e l’ideologia politica risorgimentale: nella ricerca delle radici storiche nazionali le testimonianze della lingua e della cultura materiale etrusca sono intese come le prime testimonianze di italianità. Se da un lato, infatti, il sentimento nazionale si identificava naturalmente con la storia di Roma, dall’altro essa risultava fin troppo ecumenica e universale, accomunando tanti paesi e province diversi. Le origini del popolo italiano furono pertanto ricercate ancora prima di Roma, nelle popolazioni italiche, Etruschi in testa, come se fossero stati i primi veri unificatori della nazione.
In questo periodo il museo va a sostituire le collezioni private, raccolte di stranezze e mirabilia; a differenza di queste ultime organizza e classifica, in modo didascalico e storicizzato, ciò che espone, così da permettere al visitatore la comprensione degli oggetti.
La targa apposta all’ingresso del Museo Etrusco
Negli anni intorno all’unificazione d’Italia, e poi con lo spostamento della capitale a Firenze nel 1864, la necessità di riorganizzazione delle collezioni di antichità anche nella nostra città si fece sempre più pressante. Nel 1870 (nell’anniversario dell’unità, 17 marzo) Vittorio Emanuele II decreta dunque l’istituzione del museo etrusco con sede al Cenacolo del Fuligno, in via Faenza, dove già dal 1855 si trovava il museo egizio; alla fine del decennio si decise poi per una nuova sede, ancora più grande e adatta ad ospitare le collezioni, che nel 1881 furono spostate nel Palazzo della Crocetta.
La targa ancora oggi esposta in Museo che ricorda il Regio Museo Archeologico
Con il decreto del 28 febbraio 1889 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 26 aprile) Umberto I rinomina il museo etrusco Regio Museo Centrale della Civiltà Etrusca, mantenendogli accanto l’egizio, a fare da pendant al museo di Villa Giulia a Roma, istituito il 7 febbraio dello stesso anno, e come esso “destinato ad essere uno dei principali istituti di cultura archeologica”.
La pagina della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia
Neanche dieci anni dopo, nel 1897, sarà inaugurato il Museo Topografico voluto dal Milani, che illustrava in maniera sistematica la storia etrusca attraverso gli oggetti della cultura materiale e la ricostruzione accurata dei loro contesti di provenienza. Nell’introduzione alla guida del museo del 1898 Milani stesso fa riferimento al sangue che gli etruschi avrebbero dato tanto per la civiltà romana quanto per quella del Risorgimento toscano.
Alcune pagine della guida del 1898, con il testo del Milani e le immagini dell’allestimento delle sale etrusche
Il profondo legame tra la riscoperta della storia degli Etruschi e il neonato sentimento di unità nazionale in casa Savoia è nettamente percepibile anche nelle scelte di gusto intraprese dai reali per la decorazione della loro dimora. Il gabinetto di Carlo Alberto nel castello di Racconigi (1834) costituisce infatti un significativo esempio del gusto classicheggiante che, già dalla fine del secolo precedente, aveva popolato l’immaginario di pittori e decoratori con figure “all’etrusca”, tratte da quello che all’epoca era il principale veicolo delle iconografie classiche: i vasi attici figurati rinvenuti nelle tombe etrusche.
Così il popolo etrusco, celebrato come predecessore di quello italiano nei decenni finali dell’Ottocento dalle arti come dai versi di Carducci (la “prima gente” di Avanti, avanti, in Giambi ed Epodi), nello stesso periodo conosceva anche a Firenze la consacrazione ufficiale del suo tempio nel Palazzo della Crocetta, che ne conservava le tracce tangibili.
Mercoledì 2 ottobre 2013, alle ore 12, è stata presentata in conferenza stampa la mostra-evento “Cortona. L’alba dei Principi Etruschi” che, dopo essere stata ospitata negli scorsi mesi al MAEC, Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona, approda ora a Firenze, dove sarà visitabile dall’8 ottobre 2013 al 31 luglio 2014.
Il soprintendente Andrea Pessina, Elena Pianea della Regione Toscana, il sindaco di Cortona Andrea Vignini e il direttore del MAEC, nonché curatore della mostra, Paolo Giulierini, presentando la mostra hanno posto l’accento sulla bella e proficua collaborazione tra il MAEC, la città di Cortona e la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, della quale “Cortona. L’alba dei principi etruschi” non è che uno degli esiti. Il sindaco Vignini ha sottolineato come la cultura sia il motore dello sviluppo economico di Cortona, che infatti è, per Pianea, uno dei luoghi principe della cultura toscana. E in effetti, ricorda Giulierini, a Cortona si investe molto in cultura: basti pensare agli scavi, condotti dalla Soprintendenza dal 2005 nell’area archeologica del Sodo, che hanno già portato alla musealizzazione all’interno del rinnovato percorso espositivo del Museo, e alla realizzazione di mostre, tra cui questa di Firenze; inoltre il MAEC da alcuni anni punta a collaborazioni internazionali: la prossima, col British Museum di Londra, darà come esito proprio una mostra dedicata ai reperti etruschi conservati al museo londinese, sulla scia della mostra che pochi anni fa portò a Cortona reperti etruschi dal Louvre e ancora prima dall’Ermitage di San Pietroburgo.
L’apertura di una tomba a cassetta del circolo II del Sodo, Cortona
La mostra di Firenze è dedicata alle più recenti scoperte archeologiche effettuate nel territorio di Cortona: i corredi del Secondo Circolo funerario del Sodo, costituito da oltre 15 tombe intatte databili tra la fine del VII secolo e gli inizi del VI a.C., ed una serie di oggetti rinvenuti nei siti archeologici del territorio (il palazzo principesco di Fossa del Lupo e la Villa Romana di Ossaia). La presentazione di tanti materiali di età Orientalizzante consente di far luce sulle fasi più antiche di Cortona, quelle che precedono l’avvento dei Principi (ecco quindi il richiamo all’alba, intesa come l’inizio della loro cultura); in mostra si possono poi cogliere anche i massimi sviluppi di età arcaica ed il progressivo smantellamento dell’identità e delle tradizioni, con l’avvento di Roma (come testimoniano i materiali della villa rustica di Ossaia).
I reperti sono esposti secondo un punto di vista tutto particolare: quello del restauro, il cui contributo è fondamentale per la conservazione e la tutela dei materiali archeologici, nonché per la stessa ricostruzione del racconto storico. Il percorso espositivo è studiato in modo da presentare i vari stadi del recupero, illustrando tutte le fasi di quella catena di montaggio che va dallo scavo al recupero dei materiali, alla diagnostica, fino al completamento del restauro, in vista di una definitiva esposizione al MAEC di Cortona.
Pendaglio in bronzo a doppia protome di ariete in fase di ripulitura con bisturi
Quello del restauro è del resto un tema caro a Firenze, città nella quale si concentrano alcune delle eccellenze italiane del Restauro, quali l’Opificio delle Pietre Dure e il Centro di Restauro Archeologico della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana: quest’ultimo, nato dopo l’alluvione del 1966, ha operato alcuni dei più straordinari restauri di questi anni, quali – solo per citare i più noti – i Bronzi di Riace e la Minerva di Arezzo. Il fine della mostra non è solo quello di celebrare il lavoro appassionato dei restauratori e i risultati del loro impegno, ma anche di riaccendere il dibattito e la riflessione sul restauro archeologico e sulle prospettive di conoscenza che le tecniche sempre più sofisticate di analisi e diagnostica oggi ci offrono, nonché sulla figura professionale dell’archeorestauratore, di cui si sente sempre più la necessità.
La mostra “Cortona. L’alba dei Principi Etruschi” inaugurerà l’8 ottobre 2013 alle ore 17 al Museo Archeologico Nazionale di Firenze.
Dallo scorso 9 aprile e fino al 3 dicembre 2013 il secondo piano del Museo Archeologico Nazionale di Firenze ospita la mostra “Arte della Magna Grecia. La Collezione Colombo nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze”. L’esposizione, curata da Mario Iozzo, direttore della Sezione Greca, presenta per la prima volta al pubblico una significativa selezione di reperti archeologici della Collezione Colombo, formatasi in Italia meridionale fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento ed in parte acquisita dallo Stato Italiano nel 2012 grazie ad un finanziamento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale.
Grande phiale (bacino utilizzato durante le cerimonie nuziali) di produzione apula – 330-320 a.C.
La mostra affianca le sale del Museo che ospitano in modo permanente i materiali magnogreci delle antiche collezioni medicee e lorenesi, e costituisce un’occasione imperdibile per approfondire la conoscenza della produzione artistica delle colonie greche d’Occidente e del mondo indigeno ad esse prossimo fra il VI secolo a.C. ed il I secolo d.C., attraverso pezzi di notevole pregio appartenenti a classi di materiali in genere poco rappresentate al di fuori dei musei dell’Italia meridionale.
Statuetta in terracotta rappresentante la dea Afrodite fra le valve di una conchiglia
I 41 reperti esposti forniscono infatti una panoramica ampia ed esaustiva della cultura materiale sia delle città greche dell’Italia meridionale, quali Metaponto e Taranto, sia delle popolazioni della Daunia e della Peucezia, stanziate nella zona centrale e settentrionale dell’attuale Puglia.
Il nucleo principale della raccolta è costituito da vasi in ceramica decorati con la tecnica delle figure rosse di produzione lucana e apula, databili fra la fine del V ed il IV secolo a.C., ma sono rappresentate anche altre classi ceramiche insieme a terrecotte figurate e oggetti in bronzo, oro, alabastro e piombo.
Le statuette in terracotta, di cui si espone un nucleo esemplificativo, rimandano alla sfera sacra, e rappresentano divinità, come Afrodite e Artemide, oppure devote in atteggiamento seduto o stante, e sono riconducibili a culti locali legati alla devozione popolare e alla protezione della fertilità femminile.
Provengono invece con tutta probabilità da contesti funerari i vasi in ceramica: soprattutto forme legate alla preparazione e al consumo del vino durante il simposio (crateri, oinochoai), ma anche a particolari momenti rituali, come la grande phiale o il lebes gamikos, vasi utilizzati nel corso delle cerimonie nuziali. Alle nozze e più in generale al culto di Eros rimandano anche molte delle decorazioni figurate, che mostrano spesso giovani donne e giovani uomini in atto di recarsi presso il santuario del dio dell’amore recando offerte e ghirlande floreali.
Cratere a figure rosse di produzione italiota, particolare: Athena che suona l’aulos – 375-350 a.C.
In alcuni casi, i vasi in mostra illustrano scene di carattere mitologico: fra di esse spicca la rarissima rappresentazione, nota da un unico altro esemplare conservato a Boston, di Atena in atto di suonare l’aulos, il doppio flauto inventato dalla dea secondo una tradizione letteraria conservataci da Pindaro. La dea, smesso l’abito guerriero poggiando a terra lo scudo e la lancia, si siede sulla propria egida ed è colta qui con lo sguardo quasi pensoso, mentre gonfia le guance e soffia nell’aulos per ricavare la melodia. Ma appena poco dopo, vedendo il proprio volto, riflesso in un fiume o in uno specchio, deformato dall’atto del suonare, la dea getterà via con orrore lo strumento, che segnerà successivamente il destino del satiro Marsia.
Cratere a calice del Pittore di Dolone, particolare: Satiro di fronte ad un cratere – 400-380 a.C.
Lo stesso sguardo pensoso e quasi malinconico si ritrova nel satiro appoggiato ad un bastone rappresentato sul piccolo ma importante cratere a calice attribuito da A.D. Trendall al Pittore di Dolone, uno degli antesignani della produzione italiota a figure rosse, attivo a Metaponto fra la fine del V secolo a.C. e l’inizio del secolo successivo. La scena sul lato principale del vaso rappresenta in sembianza di giovane uomo Dioniso, il dio del vino e dell’ebbrezza, particolarmente caro all’iconografia magnogreca, insieme ad un satiro. Gli sguardi dei due personaggi convergono verso un cratere a campana, decorato da due figure stanti, in un raffinato gioco di specchiamento fra il vaso reale che fa da supporto alla scena figurata ed il vaso dipinto, che diventa quasi protagonista della scena.
Oinochoe a figure rosse, particolare: il dio Pan danzante – 350-325 a.C.
Al tiaso dionisiaco appartiene anche il dio Pan, rappresentato su un‘oinochoe del Gruppo del Centauro del British Museum. La divinità è riconoscibile dalle corna e dalle zampe caprine, mentre incede con un’ampia falcata che si trasforma quasi in un passo di danza, tenendo in mano una ghirlanda e un ramo. Colpiscono i tratti rapidi ma incisivi con cui il pittore ha reso la capigliatura del personaggio e ne ha caratterizzato, facendo ampio uso del colore sovradipinto, le zampe ferine: una rappresentazione fresca che rispecchia lo spirito ironico della cultura italiota ed il suo gusto per gli esseri fantastici e irreali.
Florence, National Archaeological Museum: Magna Graecia on display
From the 9th of April until 3th December 2013, the National Archaelogical Museum of Florence houses the exhibition “The Art of Magna Grecia. The Colombo Collection of the National Archaeological Museum of Florence”. For the first time, the exhibition, by Mario Iozzo, shows to the public a representative selection of objects belonging to the Colombo Collection, which was assembled in Southern Italy between the end of the 19th and the beginning of the 20th century. The Italian State acquired part of the Collection in 2012 thanks to the financial support of the Directorate-General for the Promotion of Cultural Heritage (Ministry of Heritage and Culture).
The exhibition takes place on the second floor of the museum, next to the rooms housing the Magna Graecian objects of the ancient collections of the Medici and Lorena families, part of the permanent collection of the museum. Thanks to the exhibition of high quality finds, belonging to a class of material usually quite rare to see on display outside museums of Southern Italy, the display offers an unmissable opportunity to enhance the knowledge of the artistic production of Greek colonies in Southern Italy and the indigenous cultures surrounding them between the VI century b.C. and the I century d.C.
The forty-one objects on display give a wide and complete overview of the material culture belonging both to Greek cities of Southern Italy, as Metapontium and Taranto, and to the indigenous populations living in Daunia and Peucezia (Central and Northern part of present Puglia).
The core of the Collection are Lucan and Apulian red-figured vases dating between the end of the V and the IV century b.C., but there are also other ceramic classes, architectural terracotta, alabaster vases and metal objects (golden, bronze and lead).
The terracotta figurines on display refers to the religious world and represent goddesses, as Aphrodite and Artemis, and standing or sitting worshippers. Such statuettes refers to local worships linked with popular devotion and protection of female fertility.
On the other side, the ceramic vases of the Collection come probably from funerary contexts. Some of them were designed to prepare and drink wine during the symposium (as kraters and oinochoai), others to be used for the wedding ceremonies (as the great phiale or the lebes gamikos) and other ritual occasions. Many of the depicted scenes refer to the sphere of marriage and more generally to the cult of Eros: they often show young women and men on their way to the sanctuary of Eros bringing offers and flowers wreaths.
Some of the vases bear mythological scenes. Among them there is a rare representation of Athena playing the double flute (aulos), known from an only other example from Boston. The goddess, which according to the Greek poet Pindar created the musical instrument, is represented sitting on her cuirass, her shield and spear resting next to her, a thoughtful look in her eyes. She is blowing in the aulos with her cheeks puffed out but, according to the myth, she threw away the instrument, horrified, when she saw her face reflected in a river or a mirror, deformed by the act of playing.
A similar thoughtful and almost melancholy gaze is shown by the Satyr leaning on a stick represented on the small but important calyx-crater ascribed by A.D. Trendall to the Dolon Painter, one of the pioneers of the Italiote red-figured production. The scene on the main side of the vase shows a young Dionysus (god of wine and inebriation, particularly dear to the Magna Graecian iconography) together with a satyr. The gaze of both characters converge on a bell-krater decorated with two standing figures, in a refined game of mirroring between the real vase bearing the scene and the depicted vase, which become almost the protagonist of the scene.
Il Museo Archeologico Nazionale di Firenze partecipa alla manifestazione “Amico Museo”, promossa dalla Regione Toscana dal 18 maggio al 2 giugno 2013, con un’iniziativa che si propone di coinvolgere totalmente il visitatore. Se nell’esperienza comune, infatti, la visita di un’esposizione si svolge principalmente attraverso la vista, il percorso che si snoderà il prossimo 28 maggio dalle 15 alle 19 nel Museo Archeologico di Firenze, invece, vedrà coprotagonisti anche l’olfatto, il tatto e l’udito.
La visita è aperta a tutti, ma è diretta in modo particolare ai visitatori ipovedenti e non vedenti.
Il programma prevede tre diversi momenti.
Alle ore 15.00 sarà possibile esplorare alcuni dei tesori del Museo attraverso le visite tattili ed olfattive. Una selezione di urne, sarcofagi, sculture in pietra ma anche oggetti in bronzo e ceramica saranno per una volta a portata di mano dei visitatori: in questo modo si potranno cogliere dettagli che sfuggono agli occhi. La freddezza del metallo, la ruvidità della pietra, la consistenza della terracotta: un’occasione unica per apprezzare i reperti archeologici da un punto di vista inedito e speciale. Il percorso proseguirà nel Giardino Monumentale, sulla scia dei profumi degli agrumi, del gelsomino e delle rose che sono in fiore proprio in questi giorni in mezzo ai sepolcri etruschi, mentre le essenze tipiche della macchia mediterranea quali il mirto, il caprifoglio, l’elicriso, la menta, il timo, il rosmarino fanno loro da controcanto.
Alle 17.00 seguirà la presentazione dell’iniziativa “Identica: narrare-toccare il mito”, a cura di G. Carlotta Cianferoni, direttrice del Museo Archeologico di Firenze. Protagonista uno dei capolavori del Museo Archeologico di Firenze: la Chimera, mostro mitologico che unisce al corpo di leone una testa di capra sul dorso ed una coda di serpente. Ogni dettaglio di questo straordinario bronzo etrusco sarà apprezzabile attraverso l’esplorazione tattile della sua copia esatta.
Infine alle 17.30 “L’eroe, il cavallo volante e la sputafuoco”. Il mito della Chimera rivivrà nella doppia performance a cura di “Archeologia narrante”: una lettura teatrale di Simone Bellucci su testo di Alessandro Fani accompagnata dal commento musicale di Valentina Corsi e dalle realizzazioni plastiche di Giuseppe Venturini.
In caso di pioggia, tutte le iniziative previste avverranno all’interno del Museo, compresa la visita olfattiva attraverso il trasferimento delle essenze in appositi locali.
Ben 600 visitatori in appena 4 ore di apertura straordinaria. Questo il bilancio, più che positivo, della Notte dei Musei 2013 al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Dalle 20 alle 24 il flusso ininterrotto dei visitatori ha animato le sale e i corridoi del museo, eccezionalmente aperto in notturna. L’ingresso era gratuito e tutte le collezioni erano aperte: così è stato possibile visitare anche il Monetiere Mediceo e Granducale, inaugurato recentemente, e il Corridoio Mediceo che collega il Palazzo della Crocetta, sede del Museo, con la chiesa della SS.Annunziata. Inoltre erano visitabili, oltre alle collezioni permanenti Etrusca, Egizia (al I piano) e Greca (al II piano), anche le mostre “Signori di Maremma” al piano terra e “Arte della Magna Grecia. ” al II piano.
Il pubblico nel Salone del Nicchio visita la mostra “Archeologia in Oriente” appena inaugurata
Ma il clou della serata è stata l’inaugurazione della mostra “Archeologia in Oriente”, curata da Maria Cristina Guidotti, direttrice del Museo Egizio, e da Stefano Anastasio, mostra che espone per la prima volta dopo 30 anni materiali, molto eterogenei, che costituiscono una delle collezioni di oggetti del Vicino Oriente tra le più ricche d’Italia.
Introdotti dal Soprintendente, Dott. Andrea Pessina, la Dott.sa Guidotti e il Dott. Anastasio spiegano al pubblico, convenuto apposta per l’occasione, il progetto scientifico e il criterio espositivo: si tratta di una mostra che si contraddistingue per la varietà dei materiali esposti: varietà tipologica, naturalmente, ma anche cronologica e soprattutto geografica, dato che i materiali provengono da Anatolia, Mesopotamia, Siria, Persia. La mostra, per sua stessa natura, non può essere esaustiva, ma – dice Anastasio – attraverso la visione di una singola classe di materiali per regione geografica si può avere la percezione “di vedere il Vicino Oriente dal buco della serratura”, ovvero di farsi un’idea dell’archeologia vicinorientale che non può far altro che spingere a volerne approfondire la conoscenza, per soddisfare la curiosità che ne deriva. E in una congiuntura storica com’è quella attuale, caratterizzata dalla grossa crisi mediorientale, forse l’archeologia è il modo per ristabilire un legame, per rinsaldare un rapporto con quelle terre.
sarcofago di epoca partica (II-III secolo d.C.) dalla necropoli di Kilizu, Mesopotamia (Iraq)
Alcuni dei materiali esposti portano con sé una storia: quelli provenienti dalla necropoli di Kilizu, in Mesopotamia, oggetto di uno scavo della Missione Archeologica Italiana nel 1933, che tra le altre cose ha restituito un sarcofago di epoca partica (II-III secolo d.C.) in terracotta invetriata unico nel suo genere, oppure quelli della Collezione Carlo Popolani, assolutamente eterogenei per tipologia e cronologia, tra i quali si distinguono le mattonelle islamiche invetriate di XV-XVII secolo d.C., o ancora i Bronzi del Luristan (Iran) che, oggetto a suo tempo di un sequestro della Soprintendenza Archeologica delle Marche, furono inviati per restauro a Firenze dal compianto Giuliano De Marinis, all’epoca Soprintendente delle Marche.
Alla presentazione della mostra ha fatto seguito la visita vera e propria, nel locale del cosiddetto Salone del Nicchio, posto subito dopo l’ingresso del museo, prima sala che si incontra lungo il percorso espositivo.
Se la mostra “Archeologia in Oriente” ha catalizzato l’attenzione della maggior parte del pubblico, buona parte dei visitatori è stata comunque attratta dalla possibilità di percorrere il Corridoio Mediceo, che viene aperto al pubblico solo in rare e particolari occasioni.
Pubblico eterogeneo, quello della Notte dei Musei fiorentina: coppie, famiglie con bambini (attratti dalla possibilità di visitare il Museo Egizio), anziani, appassionati di tutte le età e soprattutto giovani: a dimostrazione che eventi culturali di questo tipo avvicinano i musei ai cittadini, anche il sabato sera.