Il 26 gennaio del 1854 nasceva a Verona il primo Direttore del Regio museo archeologico di Firenze, Luigi Adriano Milani. In occasione del compleanno di uno degli artefici dell’attuale Museo archeologico di Firenze vogliamo raccontarvi una storia poco nota, legata ai kouroi che ancora oggi portano il suo nome, attraverso le parole degli stessi protagonisti (qui e qui altri approfondimenti).

Le due statue dette Apollo e Apollino furono legate indissolubilmente al nome di Luigi Adriano Milani da Antonio Minto, suo successore alla guida del museo, che gli attribuì il merito del riconoscimento dei due marmi greci e il conseguente acquisto dalla collezione di Fabrizio Briganti Bellini a Osimo. Ma come erano finite le due statue in questa collezione privata?
I due kouroi furono rinvenuti probabilmente tra il 1656 e il 1691, in un terreno poco fuori Osimo, di proprietà della mensa vescovile, in un’area popolata già dall’età del Ferro e nella quale si colloca anche una villa romana tardo-repubblicana. La loro prima apparizione risale al 1741, quando il giovane erudito Annibale degli Abbati Olivieri , andando a far visita all’amico monsignor Pompeo Compagnoni, vescovo di Osimo, le vide nella galleria che costeggiava il piacevole giardino del palazzo vescovile. Immediatamente pensò che fossero molto antiche, simili alle statue degli egizi per la rigida postura. Ripartì da Osimo, ma per molto tempo i due fanciulli rimasero impressi nella sua memoria tanto che quaranta anni dopo, quando ormai era un affermato studioso, volle cercar di scoprire qualcosa di più su quelle statue. Si risolse allora a chiederne notizia, e anche un disegno, a Luca Fanciulli, teologo e canonico della cattedrale osimana. Ricevendo la lettera dell’illustre studioso e mecenate pesarese al Fanciulli dovettero tremare le ginocchia. Di queste statue, infatti, non c’era traccia.

Pian piano il sacerdote indagò e ispezionò tutti i sotterranei e i nascondigli del palazzo vescovile fino a ritrovare i …rottami di dette statue in un buco di stanza che si stentò ad aprire… e provvide dunque a ripulirle per la polvere e altre sozzure… . Non pago, cercò di capire come mai due statue così belle fossero finite lì. Scoprì, dunque, che venne in testa ad un canonico di farsene padrone; onde accordatosi col Vicario Capitolare di notte tempo le fe’ portar via, e perchè la cosa restasse più occulta, furon fatte passare per la Cattedrale poste sopra due barelle e avvolte con alcune coperte…ma poi sapendosi ch’erano state portate via, ne fu avanzato ricorso a Monsignor Tesoriere, il quale ordinò che si riportassero all’Episcopio nel solito sito, biasimando altamente il pensiero che fu detto avevasi di collocarle nell’atrio del Seminario. Il principale sospettato dello spostamento così rocambolesco è Stefano Bellini, all’epoca rettore del Seminario ospitato nel Palazzo Campana. L’iniziativa fu evidentemente giudicata sospetta e per prevenire altre intemperanze da parte del Bellini, che continuando ad aver la stessa sete (di farsene padrone), e godendo la grazia di Sua Eminenza gliene ha fatta più volte istanza per averle; ma neppure ha avuto il merito di sapere il sito dove stanno. A ben guardare la grazia di cui godeva presso il nuovo vescovo Guido Calcagnini non doveva essere così grande se il Vescovo fece portar via di là le dette statue senza far penetrare ad alcuno dove l’avesse poste costringendo anni dopo il Fanciulli ad una caccia al tesoro per ritrovarle.

Non furono spostamenti indolori: durante il primo tentativo di furto le statue letteralmente persero le teste! Quella dell’Apollo fu poi ricongiunta, mentre quella dell’Apollino, al quale erano state rotte anche le braccia, è rimasta nascosta fino in tempi recentissimi all’interno della collezione di famiglia dei Bellini. Il costernato Fanciulli scrive infatti all’Olivieri: Mi ricordo …benissimo d’averla veduta anni sono quando aveva la testa… ma adesso …manca la testa; e mi vien detto che fu portata via quando seguì il furto e fu fatta divenire acefala quando si dovette restituire insieme all’altra per ordine del Monsignor Tesoriere.

La spregiudicatezza dei due non sfugge al Fanciulli, che tiene a precisare che la statua fu fatta divenire acefala, insinuando dunque una rottura intenzionale, finalizzata all’impossessamento almeno della testa della statua. Passano ancora gli anni, ma Stefano Bellini e il fratello Ubaldo continuano a inseguire le due statue per la loro collezione. Per chiarire meglio l’attitudine familiare al collezionismo dei due fratelli sono eloquenti le parole di Augusto Vernarecci, canonico e studioso locale, riguardo al patrimonio della città di Fossombrone: “… fu fatale pe’ monumenti forosempronesi che dal 1799 al 1808 fosse vescovo di Fossombrone mons. Stefano Bellini d’Osimo: giacchè il fratello di lui, Luigi (Ubaldo), appassionato antiquario, spinto a spadroneggiare, trasportò nel Museo di famiglia ciò che di meglio trovossi in quegli anni in Fossombrone” (A. Vernarecci, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri).
Nel 1806 il cardinale Guido Calcagnini di fronte all’ennesima richiesta da parte dei due, per i quali il possesso delle statue non è se non vagheggiato, non posseduto chiede una relazione al conte Pietro Alethy sulle statue.

Il conte non usa mezzi termini: quanto a me io mi farei scrupolo di dar loro quello che non può esser nelle loro mani che per breve età; e che mutando poi di possessione, facilmente muterebbe luogo, e verrebbe a perdersi per Osimo. Auspica invece che le statue vengano donate alla città, della quale illustrano la storia e l’antichità. La cessione è nuovamente bloccata e Ubaldo Bellini risponde piccato, minimizzando il valore delle sculture per la storia della città, …ma quale valore riceverà la città nostra da un marmo ritrovato in una campagna, del quale ignoriamo perfino il soggetto rappresentato… e addiritura il numero! Una e non due sono le statue; giacchè una di esse (l’Apollino) non può nominarsi tale, non essendo altro, che un frammento senza capo, senza braccia, e senza gambe.
Calcagnini resiste, non così il suo successore, il cardinale Castiglioni, che probabilmente nel 1808 cede le statue ai Bellini, che le trasferiscono nel palazzo di famiglia, di fronte al Vescovado. Nel 1901 i due kouroi si persero per Osimo: Luigi Adriano Milani, riconoscendo immediatamente l’antichità e il valore delle due statue, le acquistò dall’erede dei fratelli Bellini portandole a Firenze, realizzando così i timori espressi dal conte Alethy quasi un secolo prima.
I PROTAGONISTI
Annibale degli Abbati Olivieri (1708-1789): nobiluomo pesarese compì studi Bologna, Pisa e Urbino. I suoi interessi abbracciarono tutti i campi dell’antiquaria e i suoi scritti di archeologia e numismatica lo portarono ad avere un ruolo di primo piano tra gli eruditi del tempo. Scrupoloso studioso, fu anche mecenate della sua città natale Pesaro alla quale donò la sua ricchissima biblioteca e la sua collezione di antichità.
Luca Fanciulli (1728-1804): canonico e teologo della Cattedrale di Osimo. Studiò presso il seminario Campana dove in seguito insegnò teologia. Fu vicario generale del vescovo Compagnoni, del quale fu anche esecutore testamentario. Autore di numerosi scritti si interessò soprattutto delle memorie sacre e profane di Osimo.
Stefano Bellini (1740-1831): sacerdote, rettore del seminario Campana, in seguito vescovo di Fossombrone e Recanati, collezionista di antichità.
Ubaldo Bellini (1746-1842): sacerdote, fratello di Stefano, umanista e numismatico.
NB: tutti corsivi colorati sono tratti dalle missive, dalle opere e dai documenti d’archivio
Per approfondire:
M. Landolfi-G. de Marinis (a cura di), Kouroi Milani. Ritorno ad Osimo, Catalogo della mostra 25 novembre 2000-30 giugno 2001, Roma 2000.
M. Luni (a cura di), I Greci in Adriatico nell’età dei kouroi, Atti del convegno internazionale, Osimo-Urbino 30 giugno-2 luglio 2001, Urbino 2007
M. Luni-M. Cardone, I Kouroi Milani ad Osimo tra Seicento e Settecento, Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, IX-4, 1998, pp. 669-706.