Il 9 giugno è stata inaugurata presso il MAF, nel salone del Nicchio, la mostra “Wells of wonders – I pozzi delle meraviglie“, dedicata all’illustrazione dei risultati dello scavo di due pozzi presso Cetamura, nel comune di Gaiole in Chianti.

La mostra nasce dalla collaborazione tra il Polo Museale della Toscana, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio (province di Siena e Grosseto), la Florida State University, concessionaria dello scavo da quasi mezzo secolo, e l’istituto SACI, i cui studenti dal 2010 si sono occupati del restauro dei materiali.
Nella mostra è illustrata la lunga (o meglio, alta!) stratigrafia che lo scavo dei due pozzi dell’insediamento ha riportato alla luce attraverso i materiali recuperati, che vanno dall’epoca etrusca a quella tardo imperiale romana; un concentrato della storia di questo piccolo abitato etrusco scoperto negli anni Sessanta.
Una storia non eclatante, ma specchio fedele della normale vita di tutti i giorni: lo scavo ha restituito vetri, lucerne, ceramica sigillata e ben dieci situle (secchielli) di bronzo, oltre a ossa animali e manufatti in corno e osso.

Per la maggior parte non si tratta dei reperti integri, preziosi e immediatamente comprensibili che talvolta emergono dagli scavi di necropoli, ma dei frammenti e degli scarti che le normali attività del villaggio hanno accumulato in un ampio lasso di tempo: ci sono, sì, il cucchiaino d’argento e la gemma, caduti nel pozzo certamente per errore, ma anche i cocci di vasi rotti di cui qualcuno si è voluto disfare, che raccontano quali oggetti fossero comunemente in uso nelle diverse epoche.

I reperti dei pozzi lasciano intuire anche che a Cetamura nei decenni finali del I sec. a.C. si stabilì probabilmente un veterano di Augusto, per trascorrervi l’ultima parte della sua vita, oramai tranquilla e lontana dai campi di battaglia; un vasetto pieno di monete d’argento potrebbe infatti essere il compenso di un soldato di Ottaviano che prese parte alla battaglia di Azio e fu poi congedato con la paga in denaro e l’assegnazione di un lotto di terreno in campagna. Tra le monete ci sono anche i denarii d’argento emessi da Antonio per pagare la flotta che combatté dalla sua parte, e che sono da interpretare come parte del bottino di guerra.

Uno dei manufatti più pregiati è un bronzetto votivo che riproduce un piccolo toro (immortalato anche sulla locandina), che sembra indicare che ai pozzi fosse riconosciuta anche una funzione sacra.
Entrambi i pozzi sembrano essere stati creati attorno al 300 a.C.; il pozzo 1 è scavato nell’arenaria, mentre il pozzo 2 presenta le pareti rivestite di pietre e argilla, che consentivano una maggiore depurazione dell’acqua, che poteva quindi essere usata anche per scopi alimentari.
Oltre ai reperti metallici e ceramici, nella mostra sono inclusi anche i reperti organici rinvenuti nei pozzi, tra cui pezzi di legno e semi, che consentono di ricostruire l’ambiente naturale dell’epoca. Particolarmente significativi sono i semi degli acini d’uva (vinaccioli) che immediatamente rimandano alla tradizione della coltivazione della vite: un aspetto affascinante per la continuità che il vino costituisce, dall’antichità ad oggi, per il territorio del Chianti.

La mostra, corredata di video e immagini relativi ai momenti dello scavo e del restauro, strizza l’occhio anche alla tecnologia. Alcuni manufatti, disponibili per una esplorazione tattile, sono infatti stati ricostruiti con la stampa 3D e in polistirolo grazie ad una scansione tridimensionale, come il grande orcio che accoglie i visitatori all’ingresso, rinvenuto in frammenti di cui soltanto uno è esposto nella vetrina.

Il catalogo della mostra in versione integrale è disponibile in inglese.
Veramente una buona idea quella di esporre e valorizzare ritrovamenti non spettacolari, né integri, che tuttavia, a differenza dei reperti trovati nelle necropoli, ci danno preziose informazioni sulla vita quotidiana
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