Caccia al tesoro: trova i reperti del MAF ne “La Tribuna degli Uffizi” di J. Zoffany

Era il 1772 quando il pittore Johan Zoffany dipinse La Tribuna degli Uffizi. L’artista era stato inviato a Firenze dalla Regina Carlotta, moglie di Giorgio III re d’Inghilterra, la quale non era mai stata in Toscana, ma voleva avere una riproduzione della sala più importante degli Uffizi e della collezione di arte e di antichità che vi era esposta.

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By Johann ZoffanyhAG9DaPJM3FApw at Google Cultural Institute maximum zoom level, Public Domain, Link

Lo Zoffany eseguì l’incarico, ma non si limitò a rappresentare la Tribuna così com’era: vi affastellò infatti tante, tantissime opere d’arte, antica e di pittura, secondo un modello piuttosto diffuso nel Settecento, il dipinto di vedute di gallerie di quadri che trasformava le stanze in Wunderkammern, camere delle meraviglie nelle quali si muovono collezionisti e intenditori d’arte. La Tribuna degli Uffizi, infatti, per quanto accolga alcune significative opere, non contiene certo tutte quelle raffigurate, talvolta ammassate alla rinfusa, così come appaiono dipinte dallo Zoffany.

Ma perché parliamo di questo dipinto?

Se si guarda bene La Tribuna degli Uffizi, si possono individuare, nella metà inferiore, alcune opere d’arte antica che oggi sono esposte al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Questo perché le collezioni archeologiche che costituiscono il MAF una volta facevano parte dell’immensa collezione d’arte antica medicea e poi lorenese che si trovava agli Uffizi. Solo con l’unità d’Italia e la creazione di un museo archeologico a sé stante le collezioni archeologiche si staccarono dagli Uffizi per confluire in una nuova sede. Ma nel 1772, quando Zoffany eseguiva il suo dipinto, tutti i reperti erano ancora agli Uffizi. Vediamo di trovarli tutti:

  1. La Chimera senza coda nella rappresentazione di J. Zoffany
    La Chimera senza coda nella rappresentazione di J. Zoffany

    La Chimera di Arezzo: inconfondibile, non è vero? La Chimera di Arezzo si trova in primo piano, appena alle spalle della statua del cosiddetto Arrotino (un originale in marmo di età ellenistica, ancora oggi nella Tribuna degli Uffizi). Ma… non notate qualcosa di strano? Esatto, è senza coda! La coda infatti, a forma di testa di serpente che addenta un corno della capra, è un’aggiunta realizzata proprio alla fine del Settecento dallo scultore e restauratore Francesco Carradori. Evidentemente Johan Zoffany vide la Chimera prima del suo restauro.

  2. Il Torso di Livorno: ritenuta per molto tempo un originale greco in bronzo, questa statua è in realtà il calco realizzato in età romana di un originale in bronzo di età classica. Non ne conosciamo la testa né il resto del corpo, ma sappiamo che apparteneva già a Cosimo I de’ Medici nel 1570. Nel dipinto di Zoffany è tristemente abbandonato a terra, senza alcun riguardo per la sua antichità.
  3. La statua-cubo di Ptahmose: non tutti i reperti esposti nel museo egizio provengono dalla spedizione franco-toscana in Egitto condotta da Ippolito Rosellini e Jean-François Champollion nel 1829; alcuni infatti appartenevano già alla collezione lorenese. La statua-cubo di Ptahmose è una di queste. Ptahmose era gran sacerdote a Menfi sotto il regno del Faraone Amenofi III. La sua statua lo raffigura quasi a forma di cubo, da cui sporgono la testa e i piedi. Si data al Nuovo Regno, agli anni 1413-1377 a.C. (il regno di Amenofi III).
  4. Testa di Antinoo. Firenze, Museo Archeologico Nazionale
    Testa di Antinoo. Firenze, Museo Archeologico Nazionale

    La testa di Antinoo: ritenuta per lungo tempo un originale di età romana, in realtà è un ritratto all’antica del giovane amasio dell’imperatore Adriano, annegato nel Nilo e divinizzato nel 130 d.C. Fu realizzato da una bottega fiorentina durante il regno di Cosimo I, sulla scia della fortuna che questo personaggio, giovane, bello, divinizzato, ebbe proprio nel Rinascimento. Ma nella Tribuna dello Zoffany è abbandonato a sé stesso, per terra, accanto ad alcuni vasi etruschi in bucchero.

  5. oinochoe (brocca per il vino) in bucchero. Firenze, Museo Archeologico Nazionale
    oinochoe (brocca per il vino) in bucchero. Firenze, Museo Archeologico Nazionale

    L’oinochoe in bucchero: questa brocca per il vino in bucchero fine, dalla pancia piuttosto schiacciata e fitte decorazioni incise, a imitazione dei coevi vasi in metallo che venivano utilizzate durante i banchetti dei ricchi Signori Etruschi, proviene dall’Etruria Meridionale e si data al VII-VI secolo a.C. Lo Zoffany la pone in primissimo piano, accanto ad una situla a vernice nera di produzione campana e di età ellenistica.

  6. L’urna cineraria etrusca: funge da appoggio per la Venere di Urbino di Tiziano; si tratta di un’urna cineraria di produzione ellenistica, probabilmente di Volterra, scolpita con una scena mitologica.
  7. Il grande cratere a volute del Pittore di Baltimora. Firenze, Museo Archeologico Nazionale
    Il grande cratere a volute del Pittore di Baltimora. Firenze, Museo Archeologico Nazionale

    Il cratere del Pittore di Baltimora: questo grande cratere a volute di produzione apula è decorato su un lato con una scena di amazzonomachia, ovvero la guerra mitica dei Greci contro le Amazzoni, con la dea Thetis che consegna le armi al figlio Achille e con Ettore sul carro. Sull’altro lato  la scena è dominata dalla raffigurazione del defunto, proprietario del vaso, eroizzato dentro un’edicola, il naiskòs. Il cratere, dipinto dal Pittore di Baltimora, risale al 330 a.C.

  8. le statuette in bronzo: sulla mensola che corre lungo le pareti sono poggiati alcuni busti in marmo e in bronzo e alcune statuette in bronzo. Tra queste si riconoscono la statuetta di Tyche, rappresentata come una figura femminile seduta con una corona, e una statuetta di Eracle, riconoscibile dalla pelle di leone, leonté, poggiata su una spalla.

Oggi La Tribuna degli Uffizi di Johan Zoffany è esposta nella Royal Collection del Castello di Windsor. Questo dipinto contribuì a rendere ancora più celebre la già notissima collezione di antichità di Firenze, che circa 20 anni prima era stata visitata da un grande studioso dell’arte antica, destinato a diventare il Padre dell’Archeologia: J.J. Winckelmann.

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