27 novembre 1829: si conclude la Missione archeologica franco-toscana in Egitto

Ippolito Rosellini non era uomo da farsi dire di no. Era pisano, innanzitutto, per cui testardo e tenace. Ed era un appassionato. Egittologo, aveva seguito con attenzione e ammirazione l’interpretazione del geroglifico, la scrittura egizia, da parte del giovane egittologo francese Jean-François Champollion.

Il ritratto di Ippolito Roseliini presso lo scalone all'ingresso del Museo Egizio di Firenze
Il ritratto di Ippolito Roseliini presso lo scalone all’ingresso del Museo Egizio di Firenze

I due si erano conosciuti, intorno al 1826, ed era nata un’amicizia fatta di collaborazione e di proficuo scambio di esperienze e di informazioni. Insieme visitano alcune collezioni egizie sparse per la penisola italiana e intanto prende corpo nel giovane studioso pisano, l’idea di una spedizione archeologica in Egitto.

Il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo accoglie con favore la proposta di Rosellini di finanziare una spedizione franco-toscana lungo il Nilo; Champollion per parte sua voleva visitare l’Egitto per sperimentare di persona la validità della sua interpretazione dei geroglifici, mentre Rosellini… beh, quale egittologo non sognerebbe di recarsi in Egitto?

La spedizione viene così progettata fin dal 1827: prevede che Rosellini sia messo a capo di una commissione toscana che affiancherà quella francese diretta da Champollion, con lo scopo di far eseguire i disegni dei monumenti egiziani sconosciuti o non ancora documentati e di eseguire degli scavi al fine di “arricchire i Musei dello Stato”.

La spedizione prende il via solo nell’anno successivo. Parte da Tolone nel luglio 1828 e sbarca ad Alessandria d’Egitto il 18 agosto 1828; dura 15 mesi, durante i quali i due egittologi con il loro gruppo di disegnatori, botanici, architetti, inservienti risale il Nilo toccando quelle che già all’epoca erano le principali tappe dell’archeologia egizia: Giza, Saqqara, Menfi, Tebe, Philae, la Nubia. In quei 15 mesi fu prodotta una messe infinita di documenti, tra note, copie di testi geroglifici, disegni, cui vanno a sommarsi ben 76 casse di oggetti antichi. Quanto a questi, l’accordo fra i due direttori della spedizione prevedeva che ciascuno avrebbe dovuto raccogliere materiale archeologico di pari valore e importanza: così avvenne che ad ogni ritrovamento veniva deciso a quale delle due missioni assegnare un oggetto o un corredo, cercando di mantenere equilibrio ed eguaglianza nelle assegnazioni. Questo comportò, ahimè, delle spartizioni che oggi possiamo tranquillamente definire obbrobriose; non solo i corredi furono smembrati, suddivisi tra il Louvre di Parigi e il futuro Museo Egizio di Firenze, ma anche i monumenti furono sezionati: il più eclatante di tutti è la tomba di Seti I nella Valle dei Re:

Il pilastro della tomba d Seti I: la parte a sinistra è esposta al Museo Egizio di Firenze, quella a destra è invece al Louvre
Il pilastro della tomba d Seti I: la parte a sinistra è esposta al Museo Egizio di Firenze, quella a destra è invece al Louvre

In totale Ippolito Rosellini riportò quasi 2000 reperti dall’Egitto. Tra i reperti più interessanti si annoverano il sarcofago in pietra del vizir Bakenrenef (oggi nella sala IX), il doppio sarcofago in legno della nutrice della figlia del faraone Taharqa completo del corredo (oggi nella sala VIII), il carro in legno, che fu rinvenuto smontato in una tomba della necropoli di Tebe e che oggi, finalmente, è stato attribuito a Kenamun, fratello del faraone Amenofi II Amenofi II (1424-1398 a.C.) (oggi nella sala III); e ancora il bassorilievo dipinto tagliato dalla tomba di Seti I, quello rappresentante la dea Maat (oggi entrambi nella sala V) e il bassorilievo degli scribi, proveniente dalla tomba del faraone Horembeb a Saqqara (oggi nella sala VII).

Il rilievo con la dea Maat simbolo del MEF
Il rilievo con la dea Maat simbolo del MEF

La spedizione, durata un anno e mezzo circa, fece ritorno nell’autunno del 1829. In particolare, la missione italiana sbarcò a Livorno il 27 novembre nel 1829. Rosellini già nel 1830 allestì una mostra presso l’Accademia di Arti e Mestieri di S.Caterina (in via Cavour) nella quale mostrava al pubblico i reperti recuperati in Egitto. È in questo momento e in questo luogo che può dirsi costituito il primo nucleo del futuro Museo Egizio di Firenze.

Documento ufficiale della spedizione franco-toscana in Egitto rimane, all’ingresso del Museo Egizio di Firenze, il grande dipinto, opera di Giuseppe Angelelli: in esso, sullo sfondo di una grandiosa, imponente, ma al tempo stesso romantica Luxor, si sistemano i protagonisti di questa avventura in terra d’Egitto: in piedi, col mantello bianco e la barba rossa, è Ippolito Rosellini; accanto a lui, seduto con la scimitarra, è Jean-François Champollion; tra gli altri personaggi è degno di menzione il povero Alessandro Ricci, medico e disegnatore di Siena, che è ritratto di spalle col calcagno scoperto, in quanto era stato punto da uno scorpione. Proprio in conseguenza di questa ferita morì dopo il rientro in patria. Davanti ai due protagonisti del dipinto sono raggruppati alcuni reperti egizi. Tra di essi spicca uno specchio nella sua custodia, facilmente riconoscibile in quello del corredo della nutrice della figlia del faraone Taharqa (esposto tutt’oggi nella sala VIII).

La spedizione franco-toscana in Egitto, Giuseppe Angelelli, Firenze Museo Egizio
La spedizione franco-toscana in Egitto, Giuseppe Angelelli, Firenze Museo Egizio

È grazie a Ippolito Rosellini, alla sua tenace determinazione e alla sua volontà se la missione franco-toscana in Egitto fu organizzata. Il 27 novembre 1829 segna la conclusione della spedizione in Egitto, e l’inizio del futuro Museo Egizio di Firenze.

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