Il “giardino ameno” del Museo Archeologico di Firenze è uno dei principali giardini storici della città, noto soprattutto per la peculiarità di ospitare al suo interno sculture antiche, sarcofagi e la ricostruzione di ben otto tombe etrusche. Sebbene il giardino sia inserito all’interno di un percorso museale, tuttavia, ancora oggi l’interesse per la scelta delle specie botaniche coltivate e conservate al suo interno resta primario per il Polo Museale della Toscana; ed è proprio questo il periodo dell’anno in cui, grazie alle numerose fioriture, si può godere di più di questo angolo verde.

Da documenti d’archivio è possibile ricostruire quali fossero le colture nel Settecento, quando ad occuparsi delle piante era Francesco Romoli, già giardiniere di Boboli, che si prese cura del giardino del Palazzo della Crocetta per oltre cinquanta anni, finché, “[…] ad anni ottanta circa […] attesa la sua avanzata età” gli si rese “improbabile tirare avanti detto suo impiego” e gli fu concessa la pensione. Ecco cosa prevedeva il suo contratto di assunzione, stipulato nell’anno 1739:
“Tutti i bossoli (siepi di bosso) […] saranno tosi con ogni diligenza nel corrente di maggio […] tutti i lavori a scarpa di muro saranno ben guarniti d’ogni specie di fiori tanto annuali che vivaci […] Tutte le piante di aranci, cedrati, ed arboscelli a fiori, che sono a piana terra ne’ differenti siti del giardino, e al contorno de’ muri saranno ben coltivati […] tutt’i aranci, ed altre piante, che sono nelle case, e nei vasi, tanto d’agrumi, che di fiori saranno anche coltivate, tagliate, innaffiate […] avvertendo di mantenerli sempre un bel rotondo col taglio […] I dodici parterri (aiuole), che formano, e distribuiscono il suddetto giardino saranno ripieni d’ogni sorta di legumi, erbe mangiative, radiche, e piante ortalizie in tutte le differenti stagioni dell’anno […] come ancora le pergole di vigna, che sono al contorno de’ muri, saranno lavorate […]”. Il giardino non aveva quindi una funzione puramente ornamentale, ma anche di vero e proprio orto.

Oggi successore di Francesco Romoli è Alessandro Pirali; lo abbiamo incontrato, gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza nel giardino del Museo, cosa gli piace del suo lavoro e cosa lo affascina di più. E lui, che lavora tutti i giorni immerso nella poesia del giardino, ci ha risposto nel modo più poetico possibile, cogliendo appieno il senso dell’eredità che oggi è nelle sue mani.

Mi affascina molto la storia centenaria del giardino annesso al Museo Archeologico Nazionale di Firenze, dove generazioni di giardinieri si sono susseguite nei secoli coltivando questo spazio verde che miracolosamente si è salvato dall’assedio urbano e dal cemento. Proprio di essi, dei giardinieri, voglio parlarvi, di queste persone un po’ strane, fuori dai canoni, capaci di esaltarsi per una bella fioritura o di deprimersi per la morte di una pianta che non sono riusciti a salvare.
Ci hanno lasciato in eredità delle piante stupende, e con un po’ di fantasia vorrei tornare indietro nel tempo, magari nel giardino monastico di Maria Maddalena intorno al 1620, e dare una mano al vecchio giardiniere mentre pianta il tasso, tuttora dopo secoli vivo e vegeto, re indiscusso del giardino. Vorrei affacciarmi più di cento anni dopo, nel 1739, nel giardino all’epoca curato da Francesco Romoli che per il Principe di Graon creò dodici parterri “ripieni di ogni sorta di legumi, erbe mangiative, radiche e piante ortalizie” come da tradizione toscana, ricco di frutti e cedrati e fioriture in quantità. Proprio di quel periodo rimangono ancora oggi visibili i plinti in pietra che sostenevano pali e cannicciati per proteggere gli agrumi dal freddo.

Passano decenni e il giardino si trasforma ancora. Siamo nel 1885 e al giardiniere del tempo, Leopoldo Bulli, vorrei fare un sacco di domande riguardo le varietà e le cure dei 28 aranci, delle 30 camelie, dei cento rosi, delle viti, e le fioriture che qui vi coltivava.
Di questo periodo è ancora in vita il bel tiglio, vicino al Salone del Nicchio, mentre la paulonia adiacente la Tomba del Diavolino, ammalata da tempo, è stata tagliata circa un anno fa. Ad alcuni anni più tardi risalgono i maestosi cedri, le palme e a seguire i due pini domestici che altissimi dominano sopra il tempietto.

Le bellissime azalee, che proprio ora iniziano a fiorire, sono il ricordo del giardiniere Braschi, rimasto nella memoria di tanti colleghi, che fece di questo spazio un’opera d’arte botanica con fioriture in ogni stagione, un gioiellino offerto alla città da meritarsi un posto d’onore fra i giardini più belli di Firenze.

Mi vengono in mente le parole di Ray Bradbury:
“Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno:
un bimbo o un libro o un quadro o una casa
o un muro eretto con le proprie mani
o un paio di scarpe cucite da noi
o un giardino piantato col nostro sudore.
Qualche cosa, insomma, che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l’albero o il fiore che abbiamo piantato noi saremo là”
[…] una volta, nel giardino del Museo Archeologico di Firenze, un albero di Paulownia. Dell’albero, malato da tempo, era rimasto poco più che un fusto […]
"Mi piace""Mi piace"
[…] sul giardino: Fra archeologia e rose: il giardino del MAF; Il giardino, il giardiniere e i giardinieri; Una giornata da dimenticare per il giardino del […]
"Mi piace""Mi piace"
[…] la dimora di tombe e corredi etruschi, infatti, il Giardino Ameno costituiva semplicemente uno dei tanti giardini delle ville cittadine che venivano utilizzati per le esposizioni annuali di piante e […]
"Mi piace""Mi piace"